di Guido P. Rubino
Nella prima metà del secolo scorso le signore dabbene andavano al numero tre di via Bergamo a farsi sistemare la bicicletta o la macchina da cucire. Romolo e Remo Lazzaretti iniziarono lì la loro attività. Dov’è tutt’ora. Niente più carrozze ma automobili intorno. Forse le stesse biciclette, forse di più, con tanto di parcheggio riservato, davanti a quelle vetrine che intanto hanno visto passare la storia che ha accorciato le gonne e ha messo più donne in bicicletta.
Due fratelli perfetti per il ciclismo Romolo e Remo Lazzaretti. Legati non solo nel nome e così complementari. Romolo era anche forte a pedalare e il suo nome compare più volte negli ordini di arrivo del ciclismo eroico. La sua ruota affiancò quella di Girardengo, di Binda e di Belloni. E riuscì pure a metterla davanti a tutti vincendo la tappa che portava da Bologna a Fiume nel Giro d’Italia del 1924.
Quella di Remo, invece, era una mente più imprenditoriale e capì subito che l’idea del negozio poteva trasformarsi in un punto di riferimento per i ciclisti della capitale. Remo fece crescere il negozio e intanto anche la figlia, Maria Sofia, il negozio passò a lei e poi a Mario Carbutti, suo marito che lo ha trasformato in quel che è oggi, assieme al figlio Simone.
Cicli Lazzaretti è rimasto un punto fermo della città che si è evoluta. Il suo messaggio è stato sempre lo stesso. A un certo punto a qualcuno sembrò quasi che stesse diventando vecchio. Oggi è più moderno che mai.
E son cent’anni.
Se si abita a Roma è impossibile non passarci davanti. Cicli Lazzaretti è in un punto di grande via e le vetrine mantengono tutto lo stile di una volta. Il banco da lavoro in legno è stato sostituito da uno più efficiente che ha seguito l’evoluzione della bicicletta. Si è allargato quel banco, tanto che, a un certo punto, non è entrato più nei locali di via Bergamo 3a-3b ed è stato necessario prendere altro spazio, qualche vetrina più in là, sempre a via Bergamo. Un altro showroom, oggi si chiama così, affianca il vecchio negozio dal 2013. Le bici a scatto fisso e quelle in fibra di carbonio. Appeso sempre qualche telaio in acciaio, nella vetrina che brilla tanto c’è il gruppo Campagnolo, quello dorato e un altro di trent’anni dopo. Assieme a quel cavatappi fatto pure di bulloni di bicicletta.
È la vetrina delle meraviglie che ha portato qui ciclisti giovani e più esperti. Tutti a sognare qualcosa, magari una bici nuova con quell’odore che hanno la vernice e il grasso della catena appena finita di montare.
Oggi sul banco di lavoro c’è anche un computer, serve a scaricare gli aggiornamenti dei sistemi elettronici e le ultime novità per servire al meglio i clienti. Guai a farsi trovare impreparati.
Ci sono le maglie vintage e quelle che puoi mettere in autunno e pure in inverno e fanno sparire il sudore d’estate. Tra un tubolare e una foto in bianco e nero entrano clienti di tutte le nazionalità. Alla loro richiesta qualcuno avrà risposto: “vai da Lazzaretti, no?… guarda, devi girare di qua poi salire di là e sei arrivato. Se prendi l’autobus sali sull’8, che oggi è il 490, oppure quell’altro” e così via. Che a casa si torna in bicicletta, magari una pieghevole.
C’è sempre un meccanico buono, poi, a risolvere le cose.
Giulio Giandomenico era un meccanico storico del ciclismo. Lo conobbi nel negozio di Lazzaretti nel 1985, quando comprai la mia prima bicicletta da corsa seria: una Colnago Master montata Campagnolo C-Record che il signor Giandomenico (lo chiamavo così) mise a punto personalmente.
Mi guardava severo, come a capire se davvero meritassi quel gioiello. La schiena un po’ ricurva, gli occhi vispi e il faccione coi ricci. La tuta blu sporca di bici aggiustate.
Quando tornavo, nel tempo, a farmi sistemare la bicicletta era sempre lì. Toglieva la ruota posteriore e ne smontava la ruota libera. Allora era a vite. Faceva un po’ forza e si doveva aiutare con una prolunga per la chiave.
«Vedi? – mi diceva – faccio fatica a smontarla, vuol dire che sei forte perché la stringi bene pedalando. A certi che vengono qui a momenti la smonto a mano».
Io andavo via soddisfatto e fiero.
Chissà, ora penso che forse lo diceva a tutti. O forse no.
Giulio Giandomenico è ricomparso in una foto di un libro che possiedo pure io ma che avevo sfogliato troppo velocemente. Me lo ha fatto notare Mario Carbutti, dentro al suo negozio, Cicli Lazzaretti di Piazza Fiume, a Roma. Era giovane in quella foto, ma la postura inconfondibile. Il signor Giandomenico, che era stato meccanico di Fausto Coppi e tanti altri”.
Mario Carbutti ha una collezione di ricordi su, nella libreria che il pubblico non vede. Ci sono gli annali del ciclismo e i libri che parlano di Romolo Lazzaretti corridore. Le foto della Forestale, squadra storica fornita dei telai Lazzaretti, giallo verdi come le maglie e i pantaloncini sempre neri. Mica facile stare dietro a “quelli della Forestale” che tirano forte e hanno fatto saltar fuori anche qualche campione. Il Trofeo Lazzaretti era un punto di riferimento per l’inizio di stagione. I dilettanti, venivano da tutte le regioni d’Italia a correre nel circuito organizzato nel quartiere Talenti mettendo d’accordo, in una domenica di inizio marzo, automobilisti e passanti. C’è la corsa, correva voce, le auto con le luci e poi il vento dei corridori che sfrecciavano via a più di sessanta all’ora nelle strade della periferia capitolina. Una volta vinse quel ragazzino che non gli avresti dato un soldo. Secco e mingherlino e con lo sguardo mite. Forse fu la prima di Davide Rebellin da dilettante. C’è ancora negli ordini d’arrivo del ciclismo che conta il suo nome, insieme a tutte le altre fotografie.
Un’altra spilla per favore e un’altra foto va su in bacheca. Lo riconosci quello?
Chiedete a Mario, lui li ha visti tutti. Ti guarda con un sorriso e ti fa: «E come, non lo sai?».
Guido P. Rubino
Qui sotto il libretto del Trofeo Lazzaretti e la galleria di immagini del negozio storico
https://issuu.com/livioiacovella/docs/menabolazzaretti100_150dpi_/3?e=6710436/35108086
23 apr 2016 – Riproduzione Riservata – Cyclinside
queste vetrine mi ricorda quando avevo 17 anni venivo a roma dalle marche con mio padre tutti i venerdì arrivato in p.za alessandria scaricavamo al mercatino coperto io scappavo per andare alle vetrine storiche lazzaretti erano esposte bici splendite ma costavano il doppio fatte su misura io allievo gareggiavo con una bici commerciale ideor asso per me solo vederle era il massimo ricordo di averci comprato diversi tubolari Hutchinson di color rosso forse i più economici parliamo degli anni 1960 -1962 sono ricordi che non si dimentica