di Guido P. Rubino
Scontato e spettacolare: si può vedere una corsa dal finale già scritto con tanta emozione? Merito di Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel, ma soprattutto con lo sloveno all’attacco e ancora a scattare fino a rimanere con l’ultimo avversario che tiene impavidamente a ruota per lunghi tratti. Volata alla fine, si studiano, si guardano, si pensano, rallentano, si fanno raggiungere dagli inseguitori ma è Van der Poel a battere tutti in modo pazzesco: rischiando di perdere. Van der Poel si trova davanti nel finale, con Pogacar che non vuole passare. Lui sa di essere più forte sull’accelerazione secca e la sfrutta tutta.
Nella rete dell’Olandese cade proprio Pogacar che perde pure il podio. Secondo arriva Van Baarle e poi Madouas.
Quasi incredibile. Pogacar era più forte sugli strappi, Van der Poel nella volata secca, e lo ha portato sul suo terreno.
Faceva così freddo, venerdì, da pensare di essere all’Inferno, nel punto più basso, nel lago Cocito. Ma in fondo era solo tempo da Classiche nel tempo giusto, quello delle Classiche del Nord che con il Giro delle Fiandre raggiungono l’apice del richiamo per il popolo nomade e libero del ciclismo.
Strade piene e piedi gelati. Ma per domenica si rimette, almeno il sole: la temperatura un po’ meno. Uno sbalzo che ha visto passare in pochi giorni queste zone, già verdi, dai venti gradi di una primavera precoce, alla nevicata di un inverno lungo. Provateci voi a non farvi venire un raffreddore in questo modo e qualcuno ci ha rimesso la partecipazione.
Sembrava un modo per scusarsi, del tempo, per il clima mite degli ultimi anni. Che Classiche sono se non fa freddo da sembrare inferno? Altro che calore cocente, Dante ci aveva già pensato a questo capovolgimento e ci aveva piazzato, precisi, i traditori, laggiù in fondo, verso l’odore di zolfo che qui, nelle Fiandre, corrisponde al concime lasciato dai trattori nelle serpentine strette e acciottolate.
Folla e follia per li gruppetto in fuga di mattina presto, con calzamaglie e copriscarpe: si è partiti pur sempre con temperatura prossima allo zero, giusto il sole a illudere per le ore future. Boaro e Mozzato davanti a difendere i pochi colori italiani in gruppo insieme ad altri sette compagni d’avventura.
Si viaggia regolari davanti, mentre dietro succedono piccole cadute, strappi tirati e gruppo che si frammenta lasciando indietro, a più di 70 chilometri dal traguardo, alcuni nomi importanti. Ma non è tanto la quantità dei distacchi a fare la differenza, quanto la qualità. E quando dietro le squadre non ci sono più, sparpagliate nei vicoli delle Fiandre, non c’è molto da fare.
È al secondo passaggio sul Kwaremont che fatica e forze ristabiliscono le gerarchie del gruppo ad opera, tanto per cambiare, di Tadej Pogacar. Poi i protagonisti diventano i muri. Dal Patersberg escono fuori Tratnik, Van der Poel, Pidcock e Pogacar, una selezione da 300 metri di muro acciottolato (e siamo ancora ai -50). Intanto la selezione va. Non definitiva ma assottiglia le squadre. Pogacar rimane da solo e anche per questo prende in testa il Koppenberg dove lo tiene solo Van der Poel e risponde da rimanere davanti con Madouas e Pogacar mentre davanti restano Wright e Van Baarle. Altre salite, altri scuotimenti tra i superstiti finché non restano i migliori nell’inesorabile selezione da dietro.
Quattro botte fino a che non restano da soli, Pogacar e Van der Poel, con il primo a menare di più e a decidere le sorti della corsa. L’ultimo Patersberg non cambia la situazine: se la giocano loro due. I chilometri col contagocce; passano via lentamente come i secondi degli inseguitori che, per un po’, recuperano pure qualcosa. Ma niente di preoccupante per i due che continuano a studiarsi e a immaginare.
Intanto, per ricordarci dove siamo, il cielo da sereno si è rimesso a pioggia. Benvenuti nella settimana santa del ciclismo.
3 apr 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside