Le cadute a questo Giro non sono mancate, anzi. Ci sono state cadute veramente importanti, favorite anche dal meteo non amichevole di queste settimane. E sui social c’è chi inveisce contro i freni a disco, contro l’incapacità nella guida dei corridori, contro le biciclette moderne. In realtà, queste cadute avvengono per la concomitanza di una serie di fattori.
Il telaio
Lavorando in un’azienda che produce telai, non potevo che partire da qui. Perché i telai giocano un ruolo importante in queste cadute che stiamo vedendo.
Telai in carbonio si vedevano già alla fine degli anni’80, ma il vero e proprio passaggio al carbonio è avvenuto nei primi anni del 2000. Le caratteristiche di questi telai – allora – erano di mantenere la leggerezza dell’alluminio ritornando al comfort dell’acciaio, grazie all’elasticità della fibra di carbonio. E i telai in carbonio dei primi del 2000 erano dei gioielli in discesa: tenevano le traiettorie come binari ma erano docili, sinceri e garantivano una buona risposta di feedback agli pneumatici.
Poi si iniziò a estremizzare. Prima costruendo carri posteriori con Monostay anziché a quattro foderi tradizionali. Poi aumentando la dimensione delle tubazioni. Poi comprimendo maggiormente i tubi di carbonio, in modo da ottenere più rigidità e più leggerezza. A questo punto siamo passati a movimenti centrali sovradimensionati e a sterzi da 1”1/2. Siamo arrivati poi ai freni a disco, che hanno richiesto forcelle ancora più poderose e carri posteriori rinforzati. Risultato: abbiamo telai leggerissimi e rigidissimi. Alla guida, rispetto ai telai di 20 anni fa, sono precisi ma scorbutici, non perdonano l’errore. Basta una malformazione dell’asfalto per dare un sobbalzo a tutta la bici. La capacità di assorbimento delle vibrazioni del telaio è bassissima, perché tutta la rigidità del telaio è stata sviluppata nella zona inferiore della struttura: forcella, tubo sterzo, tubo obliquo, movimento centrale e foderi bassi.
Sono scelte. Prestazione dove conta: salita e volata. Meno perfomance dove in definitiva, ai fini della gara, conta meno: la guidabilità. E qui si potrebbe scrivere molto sul fatto che forse le bici degli amatori non dovrebbero essere le stesse dei professionisti, ma andiamo oltre.
La pioggia
L’asfalto del Centro e del Sud Italia è più scivoloso perché condizionato dall’aria del mare. Spesso succede di trovarsi in terra quasi per niente, magari già a ingresso curva. E l’aumento enorme del traffico automobilistico degli ultimi anni ha peggiorato drasticamente le cose. Un tempo si sapeva che sulle statali molto trafficate non bisognava andare a cercare il limite in discesa, perché i gas di scarico rilasciano micro parti di carburante a terra. In pratica quando si scendeva su di una strada statale con la pioggia si guidava sull’olio. Oggi dove esiste più una strada senza traffico? Con la pioggia le strade moderne si trasformano in grossi campi da pattinaggio su ghiaccio, soprattutto in Italia, dove non si sta facendo niente per favorire una mobilità alternativa.
La posizione in bici
Riallacciandosi al discorso telaio, oggi vediamo posizioni in bici fra i professionisti che non tengono minimamente conto della guidabilità del mezzo. Cercano la prestazione al 100 per cento, l’aerodinamica, la reattività. Quindi abbiamo flotte di corridori con manubri bassissimi rispetto alla sella. Sella posizionata bella avanti, nella ricerca della massima spinta. Il risultato è che un tempo avevamo bici fra i professionisti con un bilanciamento del peso al 60 – 70 per cento sul posteriore, masse che vanno a equilibrarsi quando la bici è inclinata per la pendenza della discesa. Oggi abbiamo ciclisti che partono con bilanciamenti del peso a 50-50 fra le ruote, e che quindi in discesa si trovano un ammasso di peso sull’anteriore. Preciso sì, ma difficile da guidare e – ancora una volta – che non perdona l’errore.
L’incapacità dei corridori
Questo da ex-corridore è la parte delle contestazioni che mi fa più arrabbiare. Semplicemente perché chi lo dice non sa di cosa parla. L’ultimo del Giro d’Italia è stato per lo meno un Under 23 vincente. Il distacco che c’è fra il migliore e l’ultimo sulla corsa di un giorno è minimo. I professionisti sono talmente tutti ad un livello alto, che se gareggiassero su di un percorso di 60 o 70 km come avviene per gli amatori dovrebbero decidere la vittoria tirando i dadi, perché non ci sarebbero differenze. Ci vogliono 200 km al giorno per diversi giorni per fare la selezione. E questo vale anche per la discesa. È vero che c’è chi è più portato e chi meno, e chi sbaglia clamorosamente. Ed è anche vero che l’ambiente attuale incentrato sui watt per chilo non stimola i corridori ad allenarsi nella tecnica. Ma se anche gli appassionati mettessero da parte i soliti tempi presi in salita, e per una volta paragonassero i tempi in discesa, rimarrebbero stupiti di come l’ultimo dei discesisti al Giro d’Italia sarebbe anni luce davanti al primo Granfondista sulla stessa discesa.
I freni a disco
Veniamo alla parte più criticata. I freni a disco contribuiscono alle cadute fra i pro? Sì, certamente, e anche tanto. Ma non nel modo in cui pensano quasi tutti. Non è un problema di modulabilità – i freni a disco sono super modulabili, basta prenderci la mano. Non è nemmeno un problema di potenza frenante – torno a dire, controcorrente, che un buon freno a pattino su cerchio in alluminio ha una potenza totale frenante superiore all’impianto idraulico; la differenza la fa la distribuzione della potenza frenante, che con l’idraulica può essere tutta e subito, mentre col pattino richiede qualche decimo di secondo.
Il problema dei freni a disco è lo sbilanciamento del peso che reca il freno posteriore. Il freno posteriore blocca così repentinamente la ruota posteriore che questa si alza da terra, proprio come avviene quando si smette di pedalare con una bici da pista a scatto fisso. In pista, senza freni, chi sbaglia cappotta di 360°. L’astrofisica Margherita Hack, appassionata di bici, dopo una caduta, scrisse un piccolo saggio su questa particolarità delle bici a scatto fisso.
Con i freni a disco idraulici avviene un qualcosa di simile. L’improvvisa frenata del solo posteriore difficilmente causerà un cappottamento a 360°, ma comunque sposta moltissimo il peso sull’anteriore. Per qualche frazione di secondo la ruota anteriore si trova caricata di tutta l’aderenza della bici a terra. Quindi il freno posteriore andrebbe dosato con estrema cautela a inizio frenata, cosa che non avviene quando ci troviamo di fronte a corridori in terra davanti a noi, o magari dopo una salita di svariati chilometri e aver gareggiato per ore sotto a una pioggia costante.
Gli pneumatici
Più largo è meglio? Non sempre. Ho visto alcuni commenti del tipo “si cade più ora con le gomme da 25 e da 28 di quando usavamo i 19 milimetri”. In parte ha una sua logica. L’aderenza delle gomme più larghe su asciutto è incomparabile, penso che chiunque abbia avuto modo di fare un paragone se ne sia reso conto. Non è proprio così su bagnato, dove le gomme galleggiano, soprattutto ora che si viaggia a pressioni più basse. È un fattore minimo, si parla di pochi millimetri. Ma siamo pur sempre su mezzi da 7 chilogrammi di peso. E il minimo può fare la differenza. Non ho test e prove al riguardo, ma una gomma più stretta concentra il peso in un’area più piccola, e quindi mi verrebbe da pensare che un 21 o 23 millimetri al massimo sarebbe più sincero nella resa su bagnato che non un 25. E se non ci fosse differenza in attraversamento di curva, sicuramente ci sarebbe in frenata, dove il carico di peso dato in un’area più specifica dovrebbe dare un risultato migliore. Soprattutto, anche qui si potrebbe parlare della rigidità delle ruote. Ricordo che nei primi anni ’90, quando uscivano le prime ruote a profilo alto (allora in alluminio, il carbonio non era ancora usato per la costruzione di ruote) nessuno le usava nei giorni di pioggia. Questo perché su bagnato la combinazione migliore sarebbe telaio morbido, ruote morbide e pneumatici leggermente sgonfi. Oggi le ruote sono tutte molto rigide, perché non son sono più fatte a mano ma tirate a macchina. In ogni caso, pochi hanno questa accortezza di montare una ruota meno rigida a profilo basso per un percorso bagnato.
Shumacher quando approdò alla Ferrari nel ‘96 disse che l’auto avrebbe dovuto perdere prestazione a favore dell’affidabilità. Sarebbe stato inutile per lui vincere qualche Gran Premio con la macchina migliore e ritirarsi un sacco di volte se quest’auto si fosse rivelata estremamente fragile. Verrebbe da chiedersi se ogni tanto non dovrebbe essere presa in considerazione un po’ affidabilità in più del sistema mezzo-ciclista, perché questa estremizzazione della performance a volte si trasforma in un ritiro o in una sofferenza atroce per continuare la gara con i postumi di una caduta.
Bravo Stefano, condivido totalmente quello che hai scritto, speriamo che la tecnologia faccia un passo indietro…
No…freni a disco, e no cambio Elettronico…almeno lasciate la possibilità di scelta…sul mercato.
In riva al mare, dove vivo io, la salsedine corrode i circuiti elettronici, anche se tropicalizzati..
Ciao e complimenti per l’articolo
Ciao Enrico e grazie mille per i complimenti!
Io non sono assolutamente contro la tecnologia. Però hai detto una frase giustissima: lasicate la possibilità di scelta. Purtroppo le logiche di mercato portano spesso a tecnologie che hanno il puro scopo della vendita senza apportare reali migliorìe. E sempre per logica di mercato, il resto viene spazzato via.
Non sono contro i freni a disco e tantomeno al carbonio, ma alle impoosizioni delle multinazionali.