Più di ottocento biciclette ripescate dai navigli da Simone Lunghi, canottiere della San Cristoforo di Milano secondo quanto racconta il Corriere, sono la misura del poco senso civico che c’è nella società rispetto ai mezzi dello sharing che dovrebbero aiutare la mobilità.
Sharing, termine anglosassone che noi traduciamo come “condivisione” ma che in inglese ormai ci descrive perfettamente i servizi di affitto di mezzi per spostarsi in città. In realtà non dovremmo dimenticare nemmeno il termine italiano, perché “condivisione” ci ricorda maggiormente il senso sociale del servizio. Lo fa sentire di tutti con un richiamo diretto alla responsabilizzazione di ognuno.
La quantità di biciclette raccolte dai navigli, in realtà, parla di altro. E tra le ottocento recuperate molto poche sono private, cioè non di servizi di sharing.
Poco senso civico, ma la spiegazione è solo parziale.
Quella percezione distorta
I mezzi dello sharing, che siano biciclette o monopattini (ma non automobili e scooter) sono spesso mal sopportati da troppi cittadini che li vedono come un ingombro e un lasciapassare per infrangere le regole. Anche chi li usa, troppo spesso, li interpreta in questo modo creando il paradosso per cui il servizio viene percepito come negativo perché usato male. Quindi inutile e meglio se lo eliminiamo.
Un po’ come se considerassimo le automobili da eliminare perché in troppi le guidano guardando il cellulare. Un ragionamento che non regge ovviamente. Meglio vedere questi mezzi come un’auto in meno nel traffico.
Le regole
Va detto subito, biciclette e monopattini in sharing sono perfettamente legali e autorizzati alla circolazione su strada. Anzi, proprio perché gestiti da società autorizzate dai comuni, devono rispondere perfettamente alle regole del codice della strada. Quindi saranno dotati di sistemi di illuminazione e segnalazione e, tranquilli, anche di assicurazione. L’assicurazione non è obbligatoria per le biciclette, ma in praticamente tutti i bandi che vengono fatti per accedere alla fornitura del servizio da parte delle società che forniscono i mezzi, è richiesta una copertura assicurativa. I servizi che abbiamo verificato hanno tutti la copertura assicurativa come responsabilità civile, spesso corredata anche da una copertura verso i danni dell’utente. Insomma, chi li critica dicendo che sono pericolosi e non assicurati, sbaglia.
Un richiamo alla responsabilità
I servizi di sharing, vale la pena verificare sempre, sono offerti spesso solo a utenti maggiorenni. La verifica viene fatta direttamente tramite fotografia a un documento di identità, oppure può bastare l’account google/icloud dove si sono dichiarate le proprie generalità per l’avvio del servizio. Molti lamentano l’uso indiscriminato di questi mezzi da parte di ragazzi evidentemente minorenni ma in qualche modo autorizzati da un adulto, o con un documento oppure, direttamente, tramite account sul cellulare. Vale la pena ricordare che un uso di questo tipo fa decadere qualsiasi forma assicurativa e si viene esposti al risarcimento diretto (con i propri beni) per eventuali danni provocati.
Monopattini, occhio alla guida
Nella scala di valori dell’odio sui social i monopattini hanno superato i ciclisti e sono spesso odiati dagli stessi ciclisti. Il motivo? Vengono spesso utilizzati malamente, al di fuori delle regole e, più ancora delle biciclette, scorrazzano sui marciapiedi facendo slalom pericolosi. Nell’uso “sharing” i monopattini sono equiparati alle stesse biciclette, quindi stesse limitazioni e, in più, velocità limitata in automatico se si attraversano zone pedonali o a traffico limitato.
Al di là dell’interpretazione “social”, però, sono obiettivamente meno stabili di una bicicletta e il ciclista stesso tende a sopravvalutarne le possibilità, tanto più un utente meno esperto. Le ruote piccole sentono di più la strada e in curva la stabilità è minore (togliere una mano dal manubrio di un monopattino lo rende instabile (molto più di quanto accado con una bicicletta). Per cui sarebbe bene farne un uso molto prudente.
Le società di noleggio, poi, propongono anche dei veri e propri corsi. Potrebbe essere utile informarsi anche se la pandemia ha bloccato molto queste iniziative.
Più difficile abbandonarli e rubarli
La tecnologia si evolve anche per questi mezzi, che diventano più robusti, quindi meno soggetti a danneggiamenti e dotati di sistemi gps più evoluti che ne permettono un’individuazione più precisa facendo scattare un allarme in caso di utilizzo improprio (ad esempio se vengono spostati senza che nessuno li abbia sbloccati) e di spostamenti oltre i limiti di utilizzo.
Diminuiranno gli atti vandalici? Si spera, soprattutto perché sono atti inutili per chi li compie e costosi per il servizio.
Chi paga?
Il costo del servizio è un’altra critica che spesso si legge sui social. Chi mette i soldi per il servizio? Risposta semplice: le società che forniscono i mezzi. Nessuna spesa a carico della pubblica amministrazione. Questa fa un bando con determinate caratteristiche e le società che si propongono con il servizio migliore e rispondente alle richieste del bando mettono i mezzi e il servizio di gestione. Nessuno “spreco” di denaro dei contribuenti insomma. Si può dormire tranquilli.
Infine, chi utilizza i mezzi in condivisione può, sì, lasciarli ovunque, ma con criterio: molti veicoli chiedono obbligatoriamente una fotografia del parcheggio fatto a fine utilizzo così da testimoniarne il posizionamento corretto e non rischiare di incorrere in sanzioni che, nel caso, sono addebbitate all’utente così come i costi di recupero se si lascia il mezzo al di fuori dell’area in cui può essere utilizzato.
È normale e giusto, quindi, trovare biciclette e monopattini ovunque, non sono abbandonati e, anzi, significa che il servizio funziona (e ognuno può essere un’automobile in meno!) ma devono essere parcheggiati correttamente in modo da non intralciare strade e marciapiedi.
Quindi attenzione, è vero che non c’è la targa (come normale per le biciclette per cui non è neanche obbligatoria l’assicurazione, che in questo caso c’è), ma l’utilizzo dei mezzi in sharing permette comunque di identificare e sanzionare chi ne fa un utilizzo non corretto.
Sì, ma costano troppo
È vero, se una bicicletta a pedalata assistita o un monopattino elettrico costano 24 centesimi al minuto significa che uno spostamento normale rischia di portare a una spesa significativa.
Ci sono delle soluzioni però. Le stesse società di sharing propongono, attraverso le proprie app, dei pacchetti a prezzo ridotto per più corse, giornata intera, settimana o mese. E si risparmia un bel po’. Anche i gruppi di acquisto online (es. Groupon) offrono dei voucher con sconti significativi rispetto al prezzo pieno. Vale la pena dare un’occhiata.
7 mar 2022 – Riproduzione riservata – Redazione Cyclinside