Il capannone è quello in fondo, a sinistra. Parcheggiamo fuori anche se si potrebbe entrare, ma abbiamo quasi timore di chiedere. Siamo appena arrivati da Sarto, uno dei guru della telaistica italiana. Nato come terzista, è uscito fuori col suo marchio ed è stato boom. Sarto, racconta di un’italianità che piace e che non morirà: quella dell’artigianato fatto con cura che è ricercato in tutto il mondo perché crea pezzi unici, riconoscibili, inconfondibili. C’è quasi emozione a spingere il tasto del citofono.
«Enrico sta arrivando, ci avverta la signora che ci accoglie, è un po’ in ritardo», in realtà siamo noi in anticipo, per paura di fare tardi. Ma anche lui, scopriamo un attimo dopo, era già dentro. Dice un orario, poi anticipa, perché ha sempre in testa una cosa Enrico, e ce n’è da fare.
«Lasciami solo un attimo che sistemo una cosa e arrivo da voi».
Esordisce così, prima di aprirci le porte della sua azienda.
Il tempo di un caffè.
L’officina Meraviglia
L’ingresso non è ordinato, non ce ne sarebbe stato il tempo, ma poi avevamo chiesto proprio così, che senso avrebbe altrimenti?
File di telai e scatole di plastica semitrasparenti. Non lo abbiamo ancora scoperto, ma quel che stiamo vedendo è un po’ l’inizio e la fine di ciò che avviene nel capannone.
Come parte l’ordine e il cliente decide per misure e modello da realizzare, in casa Sarto gli riservano un contenitore di plastica. L’ordine diventa un numero e dal codice fuori si può indovinare il Paese di provenienza. Enrico lo riconosce al volo, “questo è un giapponese”, commenta, un altro è italiano, poi c’è un americano, tanti altri più o meno pieni. Sarto ormai è un nome che ha fatto il giro del mondo, è pure facile da ricordare e il riferimento è immediato. Chi non vorrebbe un abito di sartoria italiana? Il gioco di parole è banale per quanto è scontato, per un telaio poi…
Su misura
La chiacchierata e la definizione dell’ordine sono la prima personalizzazione, quella che prelude al lavoro fisico. Si decidono il materiale – e pensare che c’è ancora chi pensa che la fibra di carbonio sia tutta uguale – e la geometria. Nella definizione ci vanno il tipo di utilizzo, le caratteristiche del cliente e così via. Cose di cui già abbiamo parlato e cui si dedicano in tanti.
Sarto dà la sua interpretazione e fa spallucce e a chi lo critica. Alla fine ha ragione lui.
Tutto qui dentro
Accade tutto qui dentro e proviamo davvero a chiedere di tutto, su alcune cose Enrico è sbrigativo, “mica posso raccontarvi tutto tutto, no?”, sorride, inutile insistere.
Iniziamo a riprendere e a chiacchierare. Il video che vedete con questo articolo è stato un documento mica facile da mettere insieme. A Enrico Sarto chiedi una spiegazione in sequenza, che già così non è facile, ma si muove nel suo laboratorio disegnando riccioli incomprensibili e saltando di qua e di là senza fermarsi. Occorre mettergli il microfono addosso per non perdersi nulla. Gli viene di continuo in mente qualcosa da controllare e allora parte, intanto continua la narrazione, prendiamo appunti rapidamente per poi poter riordinare tutto in qualche modo.
Fogli di composito preimpregnato pronti per essere scelti e andare al plotter che li taglia. Ne usciranno strisce da sistemare sapientemente negli stampi, poi l’autoclave, poi la finitura, la “puntatura” la fasciatura e il telaio che cresce, prende forma, diventa definitivo. Gli appunti sul foglio che inizia a riempire la scatola di plastica, diventano disegno tecnico, poi parti di carbonio, tubi del telaio, infine gli accessori, il manubrio, i componenti. La tabella della verniciatura che segue tutti i passaggi.
Sta nascendo una bicicletta Sarto.
Ecco il nostro reportage video.