di Guido P. Rubino
Chiuso il portone del velodromo di Roubaix sui Mondiali di Ciclismo su Pista, respirata pure l’aria del velodromo scoperto, battezzato pochi mesi fa da Sonny Colbrelli nell’insolita Parigi Roubaix autunnale, è il momento di ragionare sulla situazione pista.
Per l’Italia c’è stata una scorpacciata di medaglie che verrebbe da sedersi e brindare tutto l’inverno. Ce ne sarebbe motivo osservando il medagliere, ma meglio restare in piedi e, dopo il giusto festeggiamento per vittorie e medaglie, è il caso di rimanere sobri e rimettersi rapidamente al lavoro. C’è da fare un bel po’.
A fine Olimpiadi, pur soddisfatti dalla spedizione azzurra a Tokyo, avevamo fatto il punto evidenziando il pericolo di una soddisfazione che riguarda, però, solo alcune specialità della pista, lasciandone completamente scoperte altre (quelle della velocità). Con l’allarme, sempre attuale, della mancanza di strutture coperte per cui l’Italia – che sarebbe il Paese dei velodromi – è molto indietro rispetto ad altri stati.
La situazione ovviamente non è migliorata in queste settimane e i successi mondiali non devono distogliere dalle difficoltà del settore se si vuole migliorare e, soprattutto, confermare il livello
Sulla questione, con precisione e puntualità, si è pronunciato Silvio Martinello in un’analisi molto attenta della situazione nazionale ma anche internazionale dove, ad esempio, ha messo in evidenza alcuni limiti delle specialità che rischiano di non riscuotere troppo successo di pubblico e disperdere l’interesse in una quantità esagerata di medaglie di cui anche gli appassionati del settore fanno fatica a tenere memoria.
Soprattutto: quali sono le condizioni della pista azzurra?
Ecco, il pericolo, spiega Martinello, è che i successi e le soddisfazioni di questa annata fortunata diventino un tappeto sotto cui nascondere la polvere di quel che non va.
La pista italiana non è in salute e l’analisi del campione olimpico di Atlanta lo mette in evidenza con l’analisi dei successi altalenanti dell’ultimo mezzo secolo in cui l’attività di base, cioè il lavoro sui giovani, ma anche sui tecnici che vanno formati, è andata scemando.
Il gruppo messo su da Marco Villa ha saputo raccogliere e valorizzare al meglio talenti “fortunati” e non arrivati da un programma prestabilito. Lo “stellone” cui fa riferimento Martinello nella sua lunga disamina, ha salvato un po’ la situazione, ma un’attività programmata è altra cosa decisamente. Dà risultati costanti senza appoggiarsi necessariamente alla fortuna che pure abbiamo avuto.
Un’attività che può essere fatta, intanto, anche negli spazi a disposizione. Dicevamo che l’Italia è il Paese dei velodromi perché sono davvero tanti quelli sparsi sul territorio. Velodromi “vecchi” e non adatti alle gare internazionali, ma intanto buoni per iniziare un’attività minima di avvicinamento a una disciplina che risulta affascinante. E vanno sfruttati i personaggi del momento sperando che possano avere un fascino non solo nell’ambiente ma soprattutto all’infuori di esso. Quello che potrebbe portare i giovani ad avvicinarsi all’attività su pista.
Secondo Silvio Martinello è importante soprattutto per le discipline della velocità, che si inizi sin da giovani. Certi meccanismi non si acquisiscono più dopo e si rischia di perdere tanti atleti potenzialmente fortissimi. E con loro i tecnici.
Sarebbe già tanto e poi ci sarebbero comunque da seguire tanti atleti lontani da centri di allenamento che permetterebbero di prepararsi adeguatamente agli impegni più importanti. È necessario partire prima del “giro azzurro” che pure raccoglie ragazzi e ragazze e cerca di farli crescere (ma anche per chi è già nel giro azzurro – aggiungiamo – rimane comunque la difficoltà della distanza da casa). La necessità di piste regolamentari diventa fondamentale per i velocisti che devono allenare il colpo d’occhio, oltre a quello di pedale, in un contesto che poi ritroveranno in gara. Per questi ragazzi velodromi come il Vigorelli possono essere una palestra ma non bastano.
L’importante, ora, è iniziare e non perdere lo slancio dell’entusiasmo derivante da Olimpiadi e Mondiali:
«Gli impianti esistenti vanno recuperati e messi nelle condizioni di ospitare l’utenza geograficamente di pertinenza – dice Martinello – Non ci sono solo necessità edili, ma anche di organico: tecnici preparati, meccanici, preparatore. Necessità di materiali, l’impostazione di calendari regionali e nazionali. Questo impegno deve essere assunto dalla Federazione, struttura centrale e strutture periferiche. In pratica ritornare a fare ciò che si faceva una volta e che non si fa più: l’attività di base. I fondamentali devono essere acquisiti con il lavoro nei centri non in nazionale».
28 ott 2021 – Riproduzione riservata – Cyclinside