30 mag 2017 – Che Giro d’Italia abbiamo visto? Bello, sicuramente. Una corsa che finisce all’ultimo giorno, con 5 corridori in un minuto e quindici secondi a giocarsi la maglia rosa all’ultima tappa a cronometro non può che essere bella.
Bella perché, alla fine, ha vinto il più forte e con tante storie da raccontare. Compresa quella disavventura intestinale che fa tanto ciclismo d’altri tempi. Chi si stupisce di una cosa del genere dovrebbe provare a stare in sella per 20 giorni di fila per tante ore. Il ciclista è fragile e sbagliare è pure semplice. Anche in squadre tecnologiche e organizzate in ogni dettaglio.
Dumoulin ha vinto con merito, difendendosi dove era debole (ma quanto è andato forte in salita? ha vinto anche una tappa!) e dando colpi da KO nelle cronometro. Troppe? No, giuste. Alla fine questo Giro si è rivelato anche equilibrato per il percorso.
Il primo Giro senza pioggia
Curiosità e realtà: in questo Giro d’Italia non ha mai piovuto, appena qualche nuvola soffiata subito via dal vento. Perfetto, no? A memoria storica, cercando su testi del ciclismo e interpellando i giornalisti… dalla memoria più lunga non abbiamo trovato ricordi di un Giro altrettanto asciutto. Almeno un giorno di pioggia c’è stato sempre. Stavolta le mantelline sono rimaste nelle “borse del freddo” che sono rimaste in ammiraglia e va bene così.
Per l’anno prossimo si parla di spostare la data più avanti di 15 giorni, ci piace anche questo. Il Giro avrebbe la sua collocazione naturale, perché al di là di quest’annata fortunata, il rischio di maltempo in montagna (e di conseguenti tappe castrate) è sempre vivo nel mese di maggio. Speriamo che l’UCI ci senta da questo orecchio. Dopo aver lasciato organizzare il Tour of California in contemporanea, togliendo bei corridori alla corsa rosa, potrebbe cercare di farsi perdonare, almeno in parte, così.
Tecnologia
A vedere le biciclette con cui i corridori hanno disputato il Giro c’è da fargli ancora di più i complimenti. L’impiego di ruote ad alto profilo anche in tappe che avrebbero richiesto profili più sottili dice di capacità di guida davvero notevoli. Chissà cos’avrebbero fatto in discesa con ruote più adatte e… gomme un po’ più sgonfie e non oltre il limite come sono soliti tenerle.
Si parla di aerodinamica al massimo, ma a volte si guadagnerebbe di più altrove. Aerodinamica è la parola del momento però. Ed ha pure il suo senso ovviamente.
Tattica e corridori
Quando attaccano? Sì è vero, dal divano di casa è facile e vorresti vedere ogni giorno la tappa del secolo. Non è così, non lo è mai stato. E quando non ha potuto essere altrimenti le forze probabilmente erano finite, per cui abbiamo visto scatti più di testa che di gambe. Gli scalatori – Quintana e Nibali – che provavano a mettere in crisi Dumoulin che rispondeva alla Indurain: senza rispondere ma proseguendo del suo passo, fortissimo, che inevitabilmente li recuperava o, comunque, controllava il distacco.
Un bel Giro anche perché con tanti pretendenti e, per questo, incerto. Ma anche belle sorprese: Pozzovivo su tutte. La dimostrazione che in maturità (ha 34 anni) si possono fare davvero ottime cose e, anzi, sfruttare l’esperienza accumulata negli anni. Pozzovivo, va detto, non ha sbagliato una mossa in questo Giro e ha dato l’impressione di non fare una pedalata in più del necessario. Quando ha affondato lo ha fatto al momento giusto. Non è bello quando pedala? Ne abbiamo parlato, ma se è efficace così ci va benissimo.
Il contraltare di Pozzovivo è Filippo Pozzato. Che abbia gambe e qualità non finisce mai di confermarcelo, dal Fiandre di quest’anno alla fuga del prosecco (ormai l’hanno definita così) a testimonianza che, quando vuole, a lui le cose riescono pur facili. Perché è pur sempre un talento e un fenomeno. Abbiamo parlato di quanto sia difficile andare in fuga, ecco, per lui cogliere la fuga che voleva è sembrato quasi semplice. Ma non ditelo a Scinto che si è dannato nella sistematica assenza dei suoi corridori nelle fughe di giornata. Sembrava glielo facessero apposta per farlo imbestialire.
Pozzato rimane l’oggetto misterioso del ciclismo italiano. La Rai lo ha adottato come opinionista, in corsa è un desaparecido, osannato dai tifosi per goliardia anche se a volte più che un’ammirazione al campione sembra lo scherzo al giullare. Peccato.
Radio, potenza e telecomandi
Il ciclismo moderno è quello dei misuratori di potenza. Ti metti alla potenza prestabilita dai test fatti in preparazione e adeguati allo stato fisico attuale e vai quanto puoi. Se gli altri scattano o vanno del loro passo può pure non importarti, tanto il conto finale si fa sulla potenza che hanno tutti e se ne hai di più vinci tu. Semplice. No, in realtà è più complicato (altirmenti davvero li mettiamo sui rulli e via), ma è pure vero che ci piacerebbero di più i corridori in grado di capire le loro sensazioni piuttosto che leggere su un display.
Soprattutto ci piacerebbe trovare il campione che vince di tattica perché è bravo e sa ragionare al momento giusto anche sotto sforzo, non che si limiti ad ubbidire a quanto gli dicono via radio. Sì, è il ciclismo moderno, ma questo continuare a chiacchierare con l’ammiraglia genera confusione su quanto ci sia del corridore e quanto di telecomandato nella gestione di alcuni momenti in cui la tattica conta tantissimo. Emblematica proprio la vittoria della prima tappa: Pöstlberger scatta al momento giusto e certo ha le gambe ma quel “mi hanno detto alla radio di partire” ha rovinato tutto.
Forse c’è qualcosa da ripensare, ferma restando la sicurezza imprescindibile dei corridori. Ma certo così non va.
Tv e dintorni
Il ciclismo è un fenomeno televisivo e raccontato bene può coinvolgere molto e allargare pure la base. Se il duo Pancani-Martinello è ormai affiatato e divertente (e competente), anche con il coinvolgimento di Beppe Conti, altrettanto non si può dire dell’esperimento de La grande corsa, con attori impacciati a maneggiare qualcosa che evidentemente non conoscono e riducendo il tutto a una macchietta. Peccato, il ciclismo non lo merita e neanche Rosolino che preferivamo ricordare con la fierezza del campione di nuoto. Peccato anche per Alessandro Brambilla a volte ridicolizzato per la sua competenza e per la stessa Laura Betto che di ciclismo ne sa un bel po’ ma era lì per la sua bellezza.
Di positivo c’è lo spazio dato al ciclismo la cui crescita è costante anche nel pubblico. Avete visto quanta gente lungo le strade? Anche nella Milano bollente dell’ultima tappa c’erano viali fatti di gente anche un bel po’ prima dell’arrivo. Bene così ma, come dicevano a scuola “si può fare di più”.
Guido P. Rubino