3 mar 2017 – E sì, ha fatto bene Philippe Gilbert a prendersela comoda, frenando e poi scendendo di bici a pochi metri dal traguardo. Certe gioie è un peccato farle scappare via alla velocità della bicicletta del vincitore, meglio frenare, scendere e dire sì: ho vinto io.
E pensare che non ci credevano mica tanto quando è partito a più di cinquanta chilometri dal traguardo. Con quelle salite ancora da fare e il mondo del ciclismo più forte che si scatenava dietro. Era il dubbio di tutto, anche il nostro. Ma dove va?
Che poi oggi chi è che vince più una corsa a cinquanta chilometri dall’arrivo? A quella distanza fai lo scatto che poi ti lasciano lì, a bagno maria – come si dice – per poi riprenderti al momento giusto, quando c’è la corsa da portare a casa sul serio.
A cinquanta chilometri è uno scatto tattico e ok, ci sta. Che poi stavolta la Quick Step se l’è studiata proprio bene la tattica. Tanto che a un certo punto ha fatto fuori sia Sagan che Van Avermaet. Davanti Gilbert all’attacco e dietro Boonen in agguato, come dire: oggi vi mangiamo tutti!
La tensione doveva essere altissima in quel boato unico di pubblico che non finiva mai. Ma quanti erano? Ma davvero ci può stare tanta gente lungo una corsa? Che qui a furia di vedere il ciclismo emigrante e a sentir parlare di nuovi orizzonti vediamo tanta polvere e poco pubblico. I cammelli addirittura e va bene che fanno colore, ma questi belgi che spettacolo ragazzi. Quanta birra si saranno bevuti a tifare Belgio e a veder vincere il loro corridore (più o meno) con tanto di maglia da campione nazionale. Roba da farsi un altro paio di boccali pure dopo, prima di tornare a casa.
Stasera a festeggiare c’è anche la famiglia Herman, proprietaria del pub Hemelrijck sulla salita ritrovata che porta alla Cappella, quella che giustifica quando si parla di settimana santa. E pazienza se qualcuno ha nominato il nome di Dio invano, imprecando pure. È il linguaggio del ciclismo che fa un po’ effetto quando te lo sbattono in faccia così, ma il dio del ciclismo lo sa e perdona, che tanto il Purgatorio lo ha già mandato sulla Terra per chi di lavoro ha scelto i pedali. Al pub Hemelrijck son tornati gli affari, erano mancate negli anni passati la migliaia di birre servite nei giorni della Ronde.
Gilbert tattica perfetta se la ride contento. Ora sa che di esserci ancora, alla faccia di chi ne parlava al passato. È andata così, lui ha osato, forse il suo ruolo era da pedina, ma lungo la strada ha ritrovato il campione e ci ha preso gusto. Il Giro delle Fiandre non lo vinci per caso e nemmeno per fortuna. Quella, al più, te la cerchi lungo la strada, mettendo sotto tensione gli avversari (e magari suggerendogli l’errore) e studiandola bene col direttore sportivo. E in ammiraglia c’era tal Peeters, altro belga, altro cagnaccio sulle pietre negli anni Novanta. Chissà cosa gli ha urlato in quella radiolina. Probabilmente Gilbert non ne aveva neppure bisogno.
Poi possiamo parlare di tattica e di fortuna. E se non fosse caduto Van Avermaet? E no, non vale. La strada ha ragione e nelle vittorie non valgono i se.
Contano gli applausi invece. Ieri la bicicletta ha scritto una bella pagina di sé e noi ci siamo goduti lo spettacolo del ciclismo europeo.
Guido P. Rubino