5 giu 2018 – Si è concluso da più di una settimana il Giro d’Italia 2018 e ancora se ne parla come se fosse… ieri. Vero che per le notizie veloci del web una settimana è un’era geologica. Vero che ad andare in edicola si trovano riviste che parlano del Giro appena uscite e altre le stanno stampando ora, ma questo Giro d’Italia non perderà d’attualità per un bel po’.
Perché è stata una corsa antica. Interpretata in maniera antica da corridori che avranno pure tenuto d’occhio cardiofrequenzimentro, misuratore di potenza e radiolina accesa. Ma poi hanno corso oltre la fatica, giocandosela come se avessero ascoltato solo le loro gambe. E forse è stato pure così visto come sono saltati per aria alcuni corridori. Crisi antiche, pure quelle.
Per questo, rimettendo a posto gli appunti di questo Giro (ormai, a una settimana è il caso) ho ritrovato cosa avevo scritto per la tappa di Roma. A dire il vero non avevo pensato alle buche. Da romano ci ho pedalato in tanti modi a Roma: a spasso, con biciclette da passeggio e con la bicicletta da corsa. Ci ho fatto anche qualche gara in percorsi analoghi e non credo meno difficoltosi. Bici in acciaio e cerchi a basso profilo, gonfiati a sette atmosfere che a 68 chili andava bene così.
Nessun pensiero alle buche insomma, ammetto la mia ingenuità, perché dopo aver visto il percorso sul Garibaldi e facendo qualche considerazione su strade che ho fatto in tutti i versi e non solo in bicicletta il pensiero era un po’ in contrasto con l’idea di una passerella finale. In realtà avevo pensato che potesse essere… un’altra tappa di montagna quella di Roma. Pur tutta piatta e anzi con qualche saliscendi che, pure non cattivo, è di quelli che spezzano il ritmo assieme a curve strette e tornanti da fare a tutta. Scatti che tagliano gambe e fiato se si vuole tenere un ritmo di corsa vero, soprattutto se qualcuno, hai visto mai, volesse inventare qualcosa.
Avevo ricacciato via il pensiero perché tutti parlavano di passerella e allora figurati se succede qualcosa. Cosa vuoi che si mettano a fare la guerra quando considerano la corsa già finita.
E infatti era così che la consideravano anche i corridori e forse, col senno di poi, quella protesta mi è apparsa pure prevedibile (bella forza). Dopo tre giri appena di un circuito giudicato impossibile da pedalare in sicurezza in una gara ciclistica è stata neutralizzata la gara. Tutto a posto e tutti contenti o quasi. Se si chiama passerella cosa vai a mettere un circuito degno di una kermesse fatta di violenza e coltelli tra i denti. Ecco, l’errore forse è stato non fare questa considerazione. Altro che il circuito quasi lineare, al confronto, dei Campi Elisi al Tour (perché, inutile negarlo, il paragone era lì). Quel circuito non era adatto a una passerella o a una tappa finale degna di questo nome dopo una corsa faticosa e una trasferta lunga. Oppure bisognava dirlo subito: guardate che l’ultima tappa è una cronometro, anzi una tappa di montagna, anzi no: un circuito degli assi dove ci si gioca il Giro d’Italia. Troppo tardi.
Amen.
Guido P. Rubino