19 mag 2018 – Sarà quell’accento così britannico o quell’aria un po’ stralunata quando gli chiedono dove vuole arrivare e lui risponde che vuole vincere il Giro. Con gli occhi che si guardano intorno e il sorriso un po’ storto di chi non ci crede troppo che “ma sì, la dico, poi vediamo”.
Sarà che quando prende il bacio della miss appare quasi imbarazzato ma poi va in giro fino all’albergo con quel marchio di rossetto stampato sulla guancia. Sarà che quando lo guardo e lo sento parlare, questo inglese piccolo e gracile e finora micidiale al Giro d’Italia, me ne ricorda un altro che solo ieri, alla fine della tappa di Nervesa della Battaglia, ho messo a fuoco: Simon Yates è Hugh Grant.
Statura a parte, s’intende.
L’episodio che mi è capitato di vedere, a una paio di mezzore dopo l’arrivo di tappa, me ne ha dato la conferma, per caso ed espressioni.
L’immagine è un po’ buffa: fila di auto in uscita dal paese in rosa. Tifosi e addetti ai lavori che tornano a casa o a guadagnare l’albergo per quest’altra notte in giro. I corridori sono tutti via, partiti già e di corsa per i riti della sera. L’albergo, i massaggi, la cena e la tappa dell’indomani.
La fila di automobili viene superata dall’ammiraglia della Mitchelton-Scott. Già, Simon Yates ha finito da poco la conferenza stampa e stavolta è la maglia rosa che deve inseguire il resto del gruppo verso l’albergo e c’è fretta.
Nella strada transennata dove tutti sono in attesa che i volontari e i vigili facciano passare per sbrogliare quel traffico insolito, l’ammiraglia giallo-nera supera tutti dove c’è spazio e chiede di passare.
Arrivato al punto di chiusura c’è l’addetto alla transenna che fa cenno di no e, addirittura, indica di tornare indietro: devi fare la fila come gli altri.
Simon Yates ha la faccia di Hugh Grant che fa una gaffe in Quattro matrimoni e un funerale, compreso quel mezzo sorriso un po’ storto. Poi pensa al lascia passare più ovvio e prende in mano la situazione, sventola la maglia rosa fuori dal finestrino: è mia, sono io. Qualcuno da dietro urla pure al vigilante inflessibile che “dai, fallo passare, è la maglia rosa” e quello fa spallucce, se siete tutti d’accordo e finalmente apre la transenna.
In gruppo, in effetti, la maglia rosa è più rispettata.
Guido P. Rubino