Sono passati esattamente 4 mesi da quando, sui social, Luca Chirico, corridore professionista, riportò un’esperienza di violenza stradale da parte di un automobilista che lo insultò e lo fece cadere perché colpevole di essere in strada ad allenarsi (rispettando le regole, peraltro – non che un ciclista scorretto meriti di essere investito, comunque).
Sono passati quattro mesi da quella violenza stradale (che avevamo raccontato in questo articolo) e oggi siamo qui, a piangere Davide Rebellin e a trovare quello stesso odio, invariato, che diventa pericoloso quanto le distrazioni degli automobilisti.
Abbiamo raccolto un po’ di commenti di questi giorni sui social, li trovate in questa immagine che potete ingrandire, per leggere:
Se in quell’articolo si trattava di un ciclista, investito senza colpe reali e che si prese la sua buona dose di insulti pure quando i media riportarono la sua esperienza, oggi questi commenti sono a corredo di articoli che parlano della morte di un ciclista, l’ennesimo, che procedeva da solo a bordo strada. Ucciso da un camionista recidivo pure, a quanto pare, con un curriculum di malefatte che viene da chiedersi perché fosse ancora abilitato alla guida.
Già, neanche con un morto davanti si placa l’odio verso i ciclisti.
Che poi è odio non solo verso chi si comporta male, e certamente le regole vanno rispettate, ma verso la categoria intera. Sei in bici? Hai colpa, togliti, lascia passare chi ha diritto a essere su strada.
Ecco.
Il ciclista non ha diritti. Al più, vada nelle ciclabili.
C’è chi si appella a fantasie diverse per legittimare le proprie affermazioni. I ciclisti non pagano il bollo, quindi non devono essere in strada, dice qualcuno dimenticando che il bollo è una tassa di possesso, c’è chi fa discorsi assicurativi (abbiamo risposto qui a entrambi, a scanso di equivoci).
Le biciclette vanno piano e non devono andare su strade con mezzi che vanno molto più veloci e così via.
Commenti agghiaccianti da parte di chi il Codice della Strada dovrebbe averlo studiato. Commenti saccenti che chiedono regole sulla base di intuizioni personali senza alcuna conoscenza tecnica. Chi ha fatto le regole le ha stabilite a ragion veduta. Esistono strade vietate alle biciclette, altre no e bisogna tenerne conto quando si viaggia in automobile. Perché l’automobile è un mezzo come lo è la bicicletta: uguali diritti. Non vale che con l’auto “si va a lavorare”. Perché ci si può andare anche in bicicletta. E in ogni caso non è influente sul diritto di essere o no su strada. Se faccio una passeggiata ho il diritto di essere in bicicletta su strada. Altrimenti potrei pretendere di far stare a casa le automobili di vacanzieri per far passare me, in bici, che vado a lavorare.
E chi scrive certi commenti non si rende neanche conto del non sapere, dà per scontato che se quella è una sua impressione debba essere giusta in assoluto. Tanto più che trova chi lo legittima dandogli ragione. Ma un’idea non è più giusta se sono in tanti a condividerla. Altrimenti avremmo dei problemi (ahinoi) con la terra piatta e così via.
Cultura.
È una questione di cultura. Poi di civiltà, di giustizia, di conoscenza. Perché alla fine certi commenti arrivano mediamente da chi di conoscenza ne ha poca. Oppure da chi cerca facili consensi per altri motivi.
Potremmo rispondere a ognuno di quei commenti che abbiamo riportato dimostrando la pochezza del pensiero di chi li ha fatti. Anche facilmente. Così come è stato fatto al giornalista che guarda il dito che indica la luna e chiede le luci per tutte le biciclette, dimenticando che i morti ci sono, e molti di più, per quelli che investono in pieno giorno.
Oppure potremmo fare commenti del genere anche quando ci sono incidenti d’auto più o meno gravi dovuti a distrazione, alta velocità, sostanze assunte e così via. Ma sarebbe ingiusto, soprattutto di fronte a una tragedia.
Però bisogna fare qualcosa. E la cultura dovrebbe bastare a capire che il qualcosa da fare non deve colpevolizzare la vittima (sì, anche se ci sono degli imbecilli che in bicicletta si comportano male). Perché poi gli incidenti sono a carichi di chi pedala da solo e rispettando le regole. Come il povero Davide Rebellin. Come Michele Scarponi e tutti gli altri meno famosi ma non meno morti.
Si deve fare qualcosa per far rispettare le regole che ci sono. Che potrebbero anche bastare, ma vengono sistematicamente ignorate.
Una goccia nell’oceano le notizie di condanna verso gli odiatori sui social. Ce ne vorrebbero di più.
Intanto la tragedia continua.
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