13 apr 2017 – La Roubaix è 55 km di pavè, ma anche 750 metri di cemento all’interno del velodromo “André Pétrieux”. Il giro e mezzo di pista che i ciclisti devono percorrere prima di tagliare la linea di arrivo, di cui gli ultimi 500 metri dopo aver sentito il suono della campana, contribuiscono a rendere unica questa corsa, a riportare il tempo della gara indietro di almeno cinquant’anni. Fino alla fine degli anni Sessanta la maggior parte delle corse in linea e delle tappe dei grandi giri si concludeva all’interno dei velodromi. Qui si consumava il rito dell’attesa, ascoltando la diretta radiofonica; qui si poteva assistere ad arrivi solitari o a ranghi ristretti oppure a volate “tattiche”, come quella vinta da Greg Van Avermaet nell’ultima edizione. Con l’avvento del ciclismo moderno e delle pericolose volate di gruppo le piste sono state progressivamente abbandonate, tranne a Roubaix. Ci ha provato per un breve periodo uno sponsor che, sul finire degli anni Ottanta aveva preteso che la linea di arrivo fosse posta davanti al proprio stabilimento. Poi, fortunatamente, si è tornati all’interno dell’anello di cemento e, nel 1992, i tratti di pavé sono stati “classés” dalla Stato francese, vale a dire tutelati in quanto “patrimoine populaire et vivant”, come disse l’allora ministro Segolène Royal (http://www.ina.fr/video/CAB93005597).
Una delle ragioni per cui nasce la Parigi-Roubaix è proprio l’esistenza di un velodromo. Nel 1895 due industriali tessili, Théodore Vienne e Maurice Perez, che avevano capito l’importanza, anche dal punto di vista economico, del nuovo sport, finanziano la realizzazione di una pista nei pressi del parco di Barbieux. L’incarico viene affidato all’architetto Dupire, che disegna un anello in cemento da 333,33 metri. All’inizio dell’anno successivo i due industriali lanciano l’idea di una corsa da Parigi a Roubaix, con arrivo all’interno del nuovo velodromo, ottenendo subito il sostegno del giornale Le Vélo. La prima edizione, che si corre il 19 aprile dello stesso anno, in coincidenza con la domenica di Pasqua, vede la vittoria del tedesco Josef Fischer.
In breve tempo il velodromo “roubaisien” diventa uno dei più apprezzati di Francia. Nel 1910 la pista viene ammodernata sovrapponendo un assito di legno con curve paraboliche che raggiungono i 45° di pendenza, con tribune in grado di ospitare fino a 11.00 spettatori. Danneggiato durante il primo conflitto mondiale e rimasto inutilizzato per alcuni anni, viene demolito nel 1924 per lasciare spazio a un insediamento residenziale. L’attuale velodromo è stato inaugurato nel 1936 e da allora, salvo una breve parentesi, ha sempre ospitato l’arrivo della Parigi-Roubaix. Si tratta di una pista in cemento, lunga 500 m, di limitata pendenza, con una tribuna coperta sul rettilineo di arrivo e gradinate ricavate sui terrapieni lungo le due curve. Un velodromo antico e “anacronistico”, che però riesce a dare emozioni uniche anche nel ciclismo moderno e che nessuno ha osato pensare di toccare quando, nel 2012, è stato costruito su un’area confinante,il moderno velodromo coperto con pista da 250 metri dedicato a Jean Stablinski (campione del mondo nel 1962 e scopritore della foresta di Aremberg).
Quasi ottanta arrivi hanno fatto di questo velodromo un luogo speciale per ogni ciclista, come riconosciuto da Bradley Wiggins in un’intervista rilasciata nel 2015 alla vigilia della sua ultima partecipazione, nella quale ha voluto rendergli omaggio accomunandolo al Vigorelli. E di fronte alle immagini di un arrivo incerto fino all’ultima curva, ai giri d’onore e alla premiazione all’interno del prato, è difficile non pensare alla nostra “pista magica”. Era davvero impossibile fare concludere al Vigorelli l’edizione numero 100 del Giro d’Italia, che prevede come tappa conclusiva una cronometro individuale da Monza a Milano? Bastava un piccolo sforzo organizzativo che avrebbe restituito al Vigorelli restaurato quella centralità che gli spetta di diritto nella geografia del ciclismo mondiale.
Andrea Costa (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo)
Quando è stato presenta il Giro100 avevo fatto la stessa considerazione: Partenza e arrivo in due templi della velocità, vuoi mettere che emozione?!?
Soprattutto, la possibilità unica di vedere l’arrivo degli atleti stando comodamente seduti in tribuna, ma quando ci ricapita?!?
Il Vigorelli in mondovisione… Che occasione per il rilancio dell’attività italiana su pista!!!
Tutto vanificato da un organizzatore (Rcs..) miope ed una Federazione assente!