28 mar 2017 – Uscendo da Taipei Cycle è questo che viene da pensare ed è inevitabile restarne un po’ confusi. Al compimento del suo trentesimo anno di vita la fiera di Taipei decide di cambiare data spostandosi a ottobre. Perché? C’è un’altra fiera una settimana dopo a Taichung (la Bike Week, in realtà, non ha la conformazione vera e propria di una fiera, ma è comunque un evento molto importante per gli OEM) e anche qui la guerra delle fiere ha un suo significato. Certamente c’è anche la presa di coscienza di una fiera che negli anni è molto cambiata – anche questa – nel suo significato. Non è più la fiera dove si “compra e si porta a casa a rivendere”, ma sta diventando sempre più una fiera dove contattare nuovi interlocutori asiatici per proporre i propri prodotti. Certo, questo sposta un po’ le cose per chi, in questo periodo, fa anche visite tecniche (e tattiche) ai propri fornitori. Un’occasione per trovare tutti qui invece che andare in giro tra Taiwan e resto della Cina per trovare chi interessa e magari contattare qualcuno nuovo. Però non c’è molta preoccupazione al riguardo in giro.
Andrea Wu, direttrice di Taipei Cycle ha affermato che “nel nuovo mercato la nostra fiera a marzo è ormai troppo tardi per rimanere importante ed era importante, a questo punto, spostarsi in autunno”.
Per Taipei Cycle è il modo di tornare alle proprie origini ed essere la fiera del primo montaggio invece dell’evento dedicato all’aftermarket come era diventato negli ultimi anni. Non è troppo velata la volontà di riprendere un interesse totale sulla regione e i numeri ci sono tutti visto che Taipei Cycle è organizzato direttamente da Taitra che possiamo considerare un po’ come il ministero dello sviluppo economico.
E in Europa?
Intanto Eurobike (a Friedrichshafen, in Germania) ha già annunciato l’anticipazione a luglio della sua fiera tradizionalmente di fine agosto. È il mercato che cambia? Più che altro è il mercato delle fiere che cerca di andare dietro ai propri clienti. Soprattutto in Europa dove, ormai da parecchi anni, la fiera non è più l’investimento da cui si tornava con il pacco di contratti firmati a giustificare la manifestazione.
Già ai tempi della fiera di Milano l’Ancma aveva il suo bel daffare a seguire le richieste (a volte insolite e bizzarre) di spostamento di data dei propri associati.
Oggi la particolarizzazione delle fiere, anzi, il nascere di nuovi eventi, ha portato molte aziende a fare scelte differenti ed economicamente vantaggiose, all’apparenza, salvando pure la faccia dal “non faccio niente”. In realtà si finisce per disperdersi in mille vie che pure hanno una loro logica, ma portano lontano da un lavorare comune in una direzione, salvo poi lamentarsi del calo di vendite e di fatturati.
Vale la pena la fiera?
La domanda che serpeggia tra gli operatori è una: “che me ne faccio ormai della fiera?” Le risposte sono differenti: da chi rinuncia completamente giudicando la fiera un impegno economico eccessivo a chi ne vede ancora di più una valenza importante per la sua azienda.
Certo è più difficile scegliere di una volta perché il ritorno economico non è immediato e quantificabile con numeri chiari. È certamente una situazione, però, in cui occorre occorre fare attenzione a non essere miopi. La rinuncia alle fiere, negli anni passati, da parte di alcuni grandi marchi ha portato a non far sembrare più sospetta di crisi l’assenza alle manifestazioni internazionali. Ma è vero pure che non tutti si chiamano Specialized con due squadre di vertice e campioni protagonisti a tutte le corse. Ed anche il “salvare la faccia” partecipando ad eventi minori per dire che “si fa qualcosa” a costo zero o quasi rischia di lasciare il tempo che trova. Manifestazioni troppo locali hanno senso eccome: andare incontro al pubblico è sempre positivo, ma attenzione a non confondere le cose. La fiera è altra cosa.
Momento di incontro
È il momento di incontro di aziende anche tra di loro. Un momento in cui, essendo tutti nello stesso posto, possono nascere confronti importanti e sinergie di valore molto più alto del “faccio il prodotto migliore del tuo per cui convinco anche i tuoi clienti a comprare il mio”. Funziona anche questo, certo, a patto di lavorare sempre in maniera impeccabile, essere sulla cresta dell’onda o almeno scavarsi uno spazio in un settore in cui si è forti e con clientela definitivamente conquistata. Ma in quanti possono ambire a ciò? Le ultime tendenze di mercato hanno fatto venire più di un mal di testa e c’è di bisogno di fare qualcosa senza perdere tempo e non rintanarsi nel “si vendono meno bici e dobbiamo rivedere gli investimenti.
A Taipei il momento di incontro tra aziende stimolato da ECF ha portato a risultati e impegni concreti: un fronte comune di aziende può essere importante anche per la politica (emblematica l’intervista rilasciata a Bikeitalia da Patrick Seidler, presidente di WTB, consigliamo di leggerla).
Oltre all’aspetto politico, una fiera è un confronto con la propria rete vendita con la possibilità pure di allargarla. La presenza di interlocutori diversi è cosa riconosciuta di ogni evento di un certo spessore e ad essere assenti si perdono occasioni spesso più di quanto si risparmi. Ecco, questa è la tendenza comune di chi ha capito come sfruttare una fiera. Chi ha rinunciato punta ad altre ve di comunicazione e certamente ha fatto i suoi conti. Resta il fatto che una fiera nel momento strategico, a fine anno, ha probabilmente molta ragione d’essere. Soprattutto in questo momento.
Ma occorre saper scegliere e magari, per una volta, lasciare a casa gli agonismi privati a favore di obiettivi più grandi e importanti per tutti.
GR