15 apr 2019 – Lungo la strada delle pietre si scrivono storie diverse. Quelle dei campioni e quelle delle retrovie. Corridori che pedalano con aspettative diverse. Non solo di vincere ma anche di arrivare in fondo.
Le storie dei protagonisti di giornata le abbiamo raccontate nel pezzo dedicato alla gara. Però ne abbiamo individuate altre, una cascata di appunti che abbiamo messo da parte ma che valeva la pena mettere in evidenza. Ce ne potrebbero essere altri, in effetti gli appunti presi durante la corsa sono pieni anche di altri nomi. Ma ne abbiamo selezionati tre. Quelli che ci hanno colpito di più. Se vi va, nei commenti, raccontateci i vostri.
Queste, intanto, sono le nostre storie.
Una è quella di Joseph Areruya, corridore del Ruanda che si è presentato con curiosità alla corsa ed era additato quasi come folcloristico. Invece resta con i primi per buona parte della corsa, finché non cade nella polvere. È il primo “africano nero” che partecipa alla corsa a quanto ci dicono. In più nella domenica della Roubaix è la commemorazione, nel suo paese, del genocidio subito dal suo popolo. Hinault scommette su di lui, peccato averlo visto a terra e tagliato fuori. C’è da giurare che lo rivedremo ancora, di carattere, solo per essere arrivato lì, ne ha di sicuro. Le gambe pure. Per ora applaudiamolo a più non posso. Uno del suo popolo, a Roubaix, è già tantissimo.
Wout Van Aert è un’altra storia. La Roubaix, da ciclocrossista qual è, sembra la corsa sua ma qui serve pure la fortuna e lui ne ha poca. Ha problemi meccanici dentro la Foresta di Aremberg, proprio nel punto peggiore. Arriva fuori e dopo varie fatiche riesce a cambiare bicicletta. Quella che gli danno a momenti si rompe subito perché nella foga di ripartire pasticcia col cambio e quasi strappa tutto. Per il meccanico che lo spinge è uno sprint in più, roba da infarto. E gli tocca ripetere qualche curva dopo perché Van Aert affronta aggressivo tutti i tratti di strada per rientrare. Forse ha le gomme troppo gonfie, fatto sta che scivola giù in una nuvola la polvere che ricopre quell’asfalto che sembrava facile. Rimane stordito, stupito, torna in bicicletta e insegue facendo slalom tra le ammiraglie che si intoppano. Passa sul prato facendo scappare il pubblico, non ce n’è per nessuno e lui non molla proprio. Rientra e merita un applauso anche se si fermasse qui. Peccato non ci sia Van Der Poel alla Roubaix. Stessa tenacia a inseguire nelle due classiche più importanti. Fratelli di fango e di polvere.
Van Aert, come Van Der Poel, mostra una tenacia pazzesca, non cambia mai espressione, poteva essere disperato, appariva concentrato, puntato sul bersaglio, finché ne ha avuto.
Peter Sagan merita la menzione anche oggi. Ok, non è in forma, ok va piano, ok non è dirompente, ma intanto arriva, arriva sempre. Sul traguardo è quinto e scusate se nel finale ha mollato. Sembrava quasi fermarsi, ma è quinto.
Anche al Giro delle Fiandre aveva dato la stessa impressione: vuoi vedere che ha imparato a correre senza sprecare energie, come ci ha abituati negli anni scorsi, e negli ultimi chilometri uccide la corsa? Invece no: ha dimostrato di saper correre e centellinare le forze solo dove servivano. Perché prima di spegnersi aveva risposto quasi con facilità anche alle menate di Gilbert, che poi ha vinto. Non ha fatto proclami, non ha fatto recriminazioni: ha dato quel che ha potuto per onorare la corsa e fare spettacolo a modo suo. Rispetto e applausi.
Guido P. Rubino