11 lug 2019 – Storie di caldo, di Tour de France, di giorni tristi e di una corsa che non c’è stata. Il racconto che ci regala Andrea Ferrigato dalla sua pagina Facebook è una pagina di storia del ciclismo che fa male ma che andrebbe stampata e messa nel libro del ciclismo.
Il Tour de France del 1995 è quello di Fabio Casartelli, eroe tragico di un ciclismo che vale la pena raccontare e di cui, alcune storie, restano incastrate nelle pieghe della cronaca.
Il “giorno dopo” Casartelli al Tour c’era silenzio, c’era anche il giorno prima. Ma i corridori avrebbero pedalato lo stesso e, per di più, in un caldo asfissiante.
I pensieri non sono facili. Cambiano nel ricordo. Quello Ferrigato è vivo e nuovo. Ci regala un pensiero che ci porta là che sembra di sentirlo sulla pelle. Il sole a bruciare, l’acqua che finisce.
Da leggere:
“Era la notte del giorno in cui Fabio Casartelli ci aveva lasciati, dormivo in camera da solo in un hotel con una stella.. la camera spoglia senza aria condizionata al piano terra, mezzo interrato, il caldo dell’asfalto passava attraverso la finestra aperta e la tenda umida non aiutava a fermare il rumore ed il calore. Ero a Lourdes.
Il Dio dell ’immortalità ci aveva lasciato, noi che pensavamo di poter fare qualsiasi cosa, ma se la morte si prendeva un campione olimpico allora poteva accadere anche a noi..
Non dormivo preso dalla paura e dal dolore.
Il mattino arrivò lento, il sole già caldo dopo una notte che non aveva mai visto scendere il termometro sotto i 30 gradi.
L’umidità dei Pirenei faceva da contorno.A Tarbes la partenza di tappa ci arrivammo in ammiraglia, silenzio è ciò che ricordo, al villaggio di partenza silenzioso e triste si riuniscono i capitani delle squadre. Decidemmo di pedalare piano, di neutralizzare la tappa per ricordare Fabio.
Dopo il minuto di silenzio si parte
Sono 237 km , è la sedicesima tappa e ci aspettano quattro passi Soulor, Mariblanque, Aubisque Soudet con cinquemila metri di dislivello.… il sole attraverso la maglia scotta la schiena, l’aria umida non ti aiuta ad aprire i polmoni.
Sulla prima salita di 4a categoria il Miramontes l’asfalto inizia a sciogliersi, sì qui sui Pirenei usano farlo facendo uno strato di catrame e buttandoci sopra della ghiaia, la strada cosi’ diventa ruvida , con le piogge drena molto di più ma con il caldo tolta la prima parte di sassi ti rimane il catrame..40 chilometri di percorso ondulato con la temperatura che aumenta arrivando a 38 gradi ed eccoci ai piedi del Soulor e dell’Oubisque…
20 km di salita, ad andar piano la strada non passa mai, il corpo stremato da 16 tappe la mente bucata dal dolore ed il sole si fanno sentire.
Vado all’ammiraglia più volte, credo d’aver bevuto già 4 borracce d’acqua più le due che avevo sulla bici, inizio a bagnarmi la testa, sbagliando, si doveva attendere il più possibile perché quando inizi non smetti più.
Salire piano in silenzio con i sassi che staccati dal catrame si attaccano sulle ruote e sbattono sul telaio ti massacra il corpo ed il cervello, in vetta o a poco dalla vetta la temperatura non scende sono trenta gradi e iniziamo a sprofondare sul catrame lasciando la scia..
la discesa ci regala un po’ di respiro ma ci riporta nel forno.
Saliamo il Marie-Blanque e la sensazione di sciogliersi è infinita, vorrei sparire, vorrei non esser qui, mancano tre tappe alla fine del Tour e ne voglio vincere una per dedicarla a Fabio (farò secondo dietro a Lance Armstrong e alla sua meravigliosa dedica).
Non mollo anche se attorno a me vedo paura e sofferenza.
I primi in classifica Rijs ,Indurain Zulle e Jalabert si controllano, non si fidano, si va piano sì, ma l’organizzazione del Tour non ci aveva ancora confermato la neutralizzazione della tappa, quindi controllo..
Guarda giù Ferri e respira, i piedi gonfi bagnati la bocca secca che chiede acqua ogni secondo..
La discesa del Marie-Blanque non ci dà sollievo, ci rimane il Soudet, sono 4 e 30 ore che siamo in bici mancano ancora 100 km all’arrivo e questi 20 km che diventeranno il mio inferno.Lucido e nero il catrame sciolto attacca le ruote, vedo la scia dei tubolari che son passati prima dei miei, il caldo mi massacra, in gruppo scende il panico, le ammiraglie hanno finito l’acqua..
C’è chi ha perso la testa e si ritira o come Gonchekov, giovane russo alla sua prima esperienza al Tour prende una coca cola da un tifoso e la porta all’ammiraglia. Il direttore sportivo Algeri lo guarda e gli dice: “sono io che ti devo darti da bere” e lui, guardando nel vuoto: “tienila, ti potrebbe servire”.Stephen, corridore della Once, molla la bici e si tuffa in un torrente.
Rominger, sì, lui, il campione svizzero, fa volate in testa al gruppo alla ricerca delle bottiglie appannate, sì quelle con quel filo di umidità attorno che ti dicono che son fresche. Se i campioni son disperati pensa noi.
Gabriele Colombo vede a 20 metri in un campo un frigo di una famiglia di tifosi, getta la bici, corre, lo apre e beve la prima cosa che trova. È vinoooo!!! urla.
Io uso ogni briciolo di energia e forza mentale per resistere.
Arrivo in vetta e mi lascio andare, mi emoziono, tocco il fondo, pedalare nel dolore in una situazione estrema mi ha aiutato a sfogare l’urlo di dolore che avevo, avevamo dentro.
Gli ultimi 40 chilometri li facciamo a tutta per arrivare nei tempi televisivi.
La squadra Motorola con Andrea Peron in testa , compagno di camera di Fabio ed amico taglia il traguardo davanti a tutti noi, tra la commozione nostra e di milioni di persone.
Un giorno caldo, infernale, da eroi, disperati ma eroi.
RC