A Bike Up, manco a dirlo, era uno degli argomenti di discussione: che succede adesso? Dopo la notizia della riorganizzazione di Trek che riduce drasticamente l’impegno operativo in Italia delegando una realtà imprenditoriale in Spagna ha creato preoccupazione su più livelli. Intanto, immaginabile, qualcuno ha iniziato a chiedersi chi potrebbe essere il prossimo e, di conseguenza se possa ancora avere senso per una multinazionale, avere localizzazioni territoriali importanti.
Abbiamo fatto una chiacchierata con alcune delle aziende presenti per capire come si evolve la situazione. Riassumiamo quanto abbiamo ascoltato nelle righe che seguono
I dubbi
Organizzazioni diverse, ma non è nemmeno questione di avere di più o di meno, la capacità di assorbire il colpo. Quello che ha messo in evidenza il post covid è una difficoltà del mercato dei grandi numeri di parare un colpo inaspettato: al momento della richiesta di biciclette non c’era la capacità di produrne e quando il volano, pesantissimo, dell’aumento di produzione si è avviato, non si è riusciti a fermarlo per tempo.
Il risultato è quel che stiamo vedendo in questi mesi. Negozi pieni di biciclette, magazzini pieni e, addirittura, richieste che non riescono ad essere evase. Per alcune realtà questo significa che la produzione che si è avviata è stata mirata male portando, anche per questo motivo, a una crisi di liquidità.
Situazione che ha messo in crisi i piccoli negozi, impiccati in ordini che si è chiesto di rispettare pur con tempi di consegna decisi dall’alto e non dalla richiesta effettiva e anche diverse grandi realtà che si sono trovate con una sovrapproduzione di modelli che non sono richiesti dal mercato. Addirittura incapaci, poi, di soddisfare altre richieste inaspettate.
La previsione di Ancma di qualche settimana fa che, alla presentazione del report 2023, ha parlato di una stabilità di ritorno nel 2025, appaiono, a molti, un po’ ottimistiche a questo punto.
Un problema di prezzi delle biciclette? No
Gli utenti puntano il dito sul prezzo delle biciclette ma, come si è potuto appurare, il problema non è lì. La crisi, anzi, ricopre più livelli di mercato e quello che ne risente meno è proprio la parte che riguarda le biciclette più costose.
Perché la crisi dopo tre anni a gonfie vele?
La crisi ha messo in evidenza due aspetti. Da una parte la poca dinamicità della produzione in un momento incerto. Si è finiti col produrre biciclette che non servivano a scapito di altre che ora portano a ordini inevasi (un ingorgo generato anche dalla mancanza di componentistica).
Dall’altra una difficoltà di supportare chi investe in Italia da parte di chi potrebbe dare una mano a supportare un settore che ha bisogno di una spinta piccola. I capitali, benché fermi, ci sono. Difficile spiegare altrimenti una crisi di grande portata in un momento che arriva subito dopo tre anni di vento in poppa che ha gonfiato le vele oltre ogni aspettativa.
Ritorno della produzione più vicina alla rete di distribuzione? È certamente una via ed è stato problema principale di questa mancanza di dinamicità.
Un mercato che si muove come un pachiderma prevedendo le vendite a distanza di oltre un anno ha mostrato il fianco al vento contrario dell’imprevedibilità della pandemia ma anche alla – molto più prevedibile, forse anche per i tempi – conseguente frenata.
Continuare ad accelerare bendati su una strada dritta non può che portare a uno schianto alla prima curva, senza neanche essere a gomito.
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