3 nov 2017 – Era una sera tardi di dieci anni fa, fine ottobre 2007. Dovevo mettere insieme la squadra che avrebbe scritto un libro sulla storia della Campagnolo, uno dei marchi “mitologici” del ciclismo internazionale. Era deciso che la parte “narrativa”, quasi tutta incentrata sulla figura quasi prometeica di Tullio Campagnolo – che ai ciclisti di tutto il mondo aveva regalato, non il fuoco, ma il cambio – l’avrebbe scritta Paolo Facchinetti, una certezza. Con Paolo, bolognese doc, una vita passata tra “Stadio” e “Guerin Sportivo”, si andava sul sicuro: un’enciclopedia del ciclismo e in più una garbata e brillante felicità nel raccontare di sport. L’avevo incontrato a Bologna qualche settimana prima in un bar di via Andrea Costa, dietro lo stadio, e avevamo chiacchierato di Calzolari e Merckx, di Biavati e Bulgarelli, ma anche del Pasolini tifoso rossoblù. Poi si era inevitabilmente finiti a parlare di Alfonsina Strada, che se oggi tutti, o quasi conoscono, il merito era proprio di Paolo, e del suo libro Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada (Edicliclo Editore, 2004). Paolo, dunque, avrebbe scritto dell’epopea del figlio del ferramenta di Vicenza diventato, negli anni, un “Gigante della lima”, come lo aveva battezzato Gianni Brera.
Ma il libro doveva avere un’altra anima, più meccanica, più tecnica. C’era in ballo un’importante coedizione americana. Dovevamo quindi andare incontro alle aspettative di quel mercato in cui era esplosa la moda dell’italian vintage, e dove c’erano potenziali appassionati che, oltre a tatuarsi sul polpaccio la “ruota alata” di Campagnolo, si sarebbero accapigliati per comprare un libro – il primo in assoluto – che raccontasse da vicino anche l’evoluzione tecnica dei prodotti Campagnolo, con tanto di dettagliate illustrazioni e minuziose didascalie. C’era dunque bisogno che un’altra firma, preparata e competente, raccontasse i milestones della lunga storia meccanica e tecnologica dell’azienda vicentina: il libro sarebbe infatti uscito nel 2008, per i 75 anni della fondazione.
Mi misi dunque alla ricerca. Mi ero già qualche volta imbattuto in uno curioso sito, che lasciava poco alla fantasia retorica del mondo delle due ruote, e che portava un nome e un cognome. A dispetto dell’anagrafe ragionieristica, guidorubino.com era una figata pazzesca. Ci trovavi quasi tutto quello che volevi sapere di tecnica ciclistica. Chiaro, puntuale, esaustivo. Senza troppi fronzoli. E in più con molte informazioni, anche storiche, sui componenti Campagnolo.
“Questo Guido Rubino, pensai, deve essere un tipo curioso. Un po’ nerd, ma vale la pena provarci”. E ci provai.
Quella sera di fine ottobre di dieci anni fa, che era quasi ormai notte, mandai una mail al sito. Mi rispose subito. Stava lavorando, diceva. Azzardai a rispondergli a mia volta: “Ma se ti chiamassi ora?”. Sarà stato quasi mezzanotte. Rispose di sì. Dal telefono uscì un accento alla “Mericoni Nando, polizia der Kansas City”. E capii, anche da questo, che era quello che ci voleva per il mercato ‘mericano. Awanagana!
C’intendemmo in poco tempo. Guido avrebbe preparato dieci schede che, dal primo brevetto Sgancio rapido, fino alle 11 velocità, mandate in produzione proprio in quell’inizio 2008, raccontavano la meraviglia, non solo tecnico-meccanica, ma anche design della storia Campagnolo.
Il libro uscì esattamente un anno dopo, e lo presentammo all’ANCMA di Milano. Fu un insuccesso: non c’era quasi nessuno, tranne Paolo Facchinetti, Guido Rubino, Valentino Campagnolo e Lorenzo Taxis di Campagnolo srl ed io, più l’editore, Cesare Longhi di Bolis Edizioni. La risolvemmo stappando una bottiglia di spumante. Ma portò bene. Quel libro, oltre all’edizione americana di Velopress, ristampata per quattro volte, divenne un piccolo fenomeno editoriale internazionale: agli americani si aggiunsero tedeschi, giapponesi e persino i cinesi. Decine di migliaia di copie vendute in tutto il mondo.
Ma quel che più conta, aldilà della soddisfazione personale di aver fatto un bel libro – anche se non dovrei dirlo io… – , è che Campagnolo. La storia che ha cambiato la bicicletta (Bolis Edizioni, 2008), ha trasformato dei collaboratori in amici.
Con Paolo Facchinetti la frequentazione è continuata negli anni: è lui che mi ha portato a conoscere Giancarlo Brocci ed è con lui che si è fatto il primo libro sull’Eroica (2012, sempre in compagnia di Guido Rubino e insieme a Lorenzo Franzetti). Paolo non c’è più da tre anni e mi manca bel un po’.
Non mi manca invece Guidorubbì, con cui ci siamo, reciprocamente, incalliti in amicizia, combinando ormai da tempo periodiche e ricorrenti zingarate editoriali. Quello che oggi però mi ha fatto venire voglia di scrivere queste righe è un ricordo preciso. Al termine di quella prima telefonata, Guido mi disse, con voce un po’ emozionata: “Ma nun è che me tocca lavorà da subito, eh?”. “Ecco, pensai, il solito romano scansafatiche: e non abbiamo nemmeno cominciato!”. Ma non mi lasciò il tempo di rispondere: “No, sai, perché tra pochi giorni divento papà: e sai che delirio!”.
Gaia è nata il 3 novembre 2007 e oggi compie 10 anni. Auguri a lei e a quer fregnone der suo papà. Che è l’amico mio.
Gino Cervi
Bellissimi resoconti tecnici,li leggo di un fiato,anche se non sono proprio alle prime armi (ho quasi 72 anni e la prima bici me la sono montata a 10)