Siamo esseri fragili. E la nostra fragilità è legata a tanti fattori. Un po’ è insita nella nostra conformazione: sempre troppo deboli rispetto alla potenza della natura, di questo mondo che sembra stato creato per noi ma che sempre più spesso ci ricorda quanto le nostre vite siano in bilico, quanto siamo piccoli rispetto al tutto. L’altro aspetto è dato dalla fragilità del nostro spirito, legato sempre più alla troppa sicurezza, a quel senso di immortalità che ci spinge a sfidare i limiti, che ci fa sentire sempre troppo capaci e in controllo, soprattutto quando ci ritroviamo a pedalare su bici sempre più perfette tanto da farci sentire quasi dei supereroi dove la bicicletta è il nostro martello di Thor o l’armatura di Iron Man o lo scudo di Capitan America.
Eppure c’è stato un tempo in cui la bici era l’unico mezzo per spostarsi, il più sicuro, il più versatile. Era un mezzo di trasporto non un cavallo d’acciaio con il quale gareggiare. Un tempo non troppo lontano dove le macchine erano poche, pochissime e la strada era di tutti. Mia madre con la sua famiglia viveva in un piccolo borgo fuori provincia, vicino al mare. Dodici chilometri ancora lo separano dalla città e quella strada, la litoranea, ombreggiata dai pini e non asfaltata, allora, nei primi anni cinquanta, era percorsa dalle bici o dai carretti o da qualche motocicletta. In città si andava in bicicletta o con la corriera. Le macchine erano talmente poche che uno dei passatempi di mamma e delle sue sorelle era quello di contare le macchine che si dirigevano verso le dune sabbiose la domenica: erano una decina o poco più.
Oggi la litoranea, all’ombra degli stessi pini di settanta anni fa, che collega la mia città a quello stesso borgo dove ancora si intravede il mulino che fu lavoro e dimora di mio nonno e della sua famiglia, è una strada asfaltata ad alta percorrenza e incidentalità: il mezzo meno adatto a tale strada è diventato la bicicletta.
Buffo eh? E la chiamano evoluzione, lo chiamano progresso.
Mi piacerebbe raccontare del dualismo della bicicletta: un po’ mezzo di trasporto di una mobilità sostenibile chimera dei più, sogno delle nuove generazioni, nostalgia di quelle che hanno vissuto la sua prima diffusione e sport di fatica e di sudore, antico e moderno insieme, epico e tecnologico, lento o sempre troppo veloce per non accettare la sfida della morte, per non vederla arrivare così, all’improvviso.
Il ciclista è esposto per natura a rischi continui: la strada può essere un pericolo ma anche la ricerca del superamento dei propri limiti o ancora la mancanza di protezioni adeguate nelle competizioni professionistiche (vedi il recente incidente mortale a Gino Mäder). Emiliano Borgna, Presidente di ACSI Ciclismo ci ha raccontato come pensa si possa tutelare il ciclismo e il ciclista durante la pratica di quello che è uno degli sport di maggior fatica al mondo.
«La sicurezza è una delle tematiche più delicate da trattare perché si rischia di cadere nel vittimismo che è una cosa negativa per il movimento stesso. Certamente il ciclismo è uno sport in cui talvolta si vanno a concretizzare tutta una serie di concause che portano a incidenti purtroppo catastrofici come quello occorso a Gino Mäder. Credo che ci debba essere una diversificazione di quello che è l’ambito di operatività perché se pensiamo alla sicurezza in senso lato la morte di Scarponi, Rebellin tanto per fare un esempio di nomi “noti” hanno portato a mettere in piedi delle campagne di sensibilizzazione o degli eventi per portare a un cambio di mentalità. Sarebbe bello fare rete tra tutte le associazioni, tutti gli organismi e tutto il mondo dello sport insieme potrebbe cercare di mettere in piedi dei punti anche semplici per fare qualche cosa di concreto in via generale. Noi come ACSI stiamo portando avanti delle campagne di sensibilizzazione all’interno delle scuole per cercare di far cambiare mentalità alle generazioni future. Intanto per portarli a utilizzare la bicicletta e poi quando saranno automobilisti a cercare di farli ragionare in modo diverso rispetto a quello che è il sistema attuale. Per quanto riguarda gli eventi sportivi invece si cerca di alzare sempre di più l’asticella affinché ci siano eventi sicuri, eventi con standard organizzativi sempre più alti. Dal punto di vista normativo sono stati fatti dei passi importanti, pensiamo al disciplinare delle scorte tecniche che comunque impone anche degli oneri aggiuntivi in capo agli organizzatori. In senso generale quello che penso è che bisogna fare sistema, ognuno deve fare la sua parte perché non possiamo piangere sempre queste morti di persone definite “deboli” perché per quanto il ciclista possa aver ragione in caso di sinistro è quello che soccombe. Bisogna fare cose anche piccole ma tutti insieme per portare a un cambiamento generale e del codice della strada».
La strada può essere un pericolo, la stessa strada che ha un significato alto legato alla vita e alla passione per uno sport senza tempo. La strada o l’uomo stesso? Cosa è un pericolo e chi è in pericolo?
Perdere la vita o meglio, venire uccisi sulla strada porta a riflettere su quanto sia importante lavorare sulla cultura del rispetto dei più fragili, di chi è esposto continuamente a tale pericolo. Marco Scarponi, fratello di Michele Scarponi, vincitore del Giro d’Italia del 2011, ucciso a poca distanza da casa il 22 aprile 2017 mentre si allenava, è il Segretario della Fondazione Michele Scarponi Onlus, voluta dalla famiglia di Michele i cui progetti sono volti all’educazione al corretto comportamento stradale, a una cultura del rispetto delle regole e dell’altro, e alla sicurezza sulle strade attraverso una mobilità sostenibile.
In che modo la Fondazione Michele Scarponi si sta impegnando affinché le cose cambino? Qual è il futuro della mobilità dei più fragili?
«La strada non è un pericolo, sono i comportamenti delle persone ad essere pericolosi, così nella mobilità di tutti i giorni, così nelle competizioni sportive su strada. Il problema è sempre la persona. Il valore immenso della vita dovrebbe farci riflettere e farci adottare sempre il comportamento più sicuro quando siamo sulla strada. La Fondazione Michele Scarponi Onlus si sta impegnando da 5 anni per cambiare la cultura della sicurezza stradale e della mobilità in Italia mettendo al centro della strada il rispetto di tutti e soprattutto l’idea che creando una mobilità intorno ai più fragile si possa veramente donare a tutti una strada più bella e sicura. Per questo puntiamo tantissimo su una nuova educazione alla mobilità che porti ad avere come riferimento principale della mobilità non l’automobile ma la persona. Il nostro progetto di educazione alla mobilità dedicato alle studentesse e agli studenti ha proprio come principio di base il fatto che sulla strada siamo tutti importanti perché siamo tutti portatori dei valori della società in cui viviamo: la sicurezza, la libertà, il rispetto. Il futuro della mobilità è dei più fragili semplicemente perché la mobilità sostenibile e dolce è già una mobilità di pace, una mobilità che ci invita a partecipare e a custodire quel grande bene comune che è la strada».
Guido spesso su quel tratto di litoranea che mi porta al mare. Mi sembra di scorgere talvolta ancora il fondo di terra chiara e percorsa da quelle corriere blu, dalle forme un po’ tondeggianti e con i fari circolari. Passo davanti al mulino di nonno, incastrato tra i poderi della bonifica e mi pare di scorgere ancora quelle quattro ragazzine a bordo strada messe lì a contar le macchine che vanno verso il mare. La strada era di tutti. Di chi andava a piedi, in bici, in motocicletta, e di chi timidamente percorreva con le prime macchine quelle che erano poco più che dei sentieri, con i cortili ancora aperti sui canali, con le stalle a vista e i polli sull’aia delle grandi case strette tra i campi di fieno. Allora la strada era proprio di tutti. Con rispetto. In equilibrio.
E quelli più fortunati avevano una bicicletta per arrivare al mare.
(Emiliano Borgna e Marco Scarponi saranno presenti a NOVA Eroica Buonconvento dal 23 al 25 giugno 2023 per testimoniare i valori di un ciclismo sano e di una mobilità sostenibile dove la strada è di tutti, a partire dal più fragile).