Un piccolo borgo con 9 frazioni, poco meno di 9000 anime e a 240 metri di altitudine. Si vede il mare da Filottrano. Ma la vista si perde tra i colori autunnali dei campi che in estate hanno dato frutti e fiori. Mi dicono che a luglio era tutta una distesa di girasoli mentre ora ho davanti un tappeto fatto di quadrati ricamati in diverse tinte di marrone. Se mi volto dando le spalle al mare vedo il Monte San Vicino e gli appennini che sembrano delimitare questo lembo di terra così diverso e così uguale a tante altre regioni del nostro Paese. A Filottrano sono arrivata per l’evento in memoria di Michele Scarponi che ha visto riuniti in suo nome 300 ciclisti accorsi da ogni parte d’Italia con ogni tipo di bici e con ogni tipo di abilità motorie.
Lo hanno fatto per lui, Michele, ucciso qui, su una discesa appena fuori dal paese, in un sabato di primavera, mentre, lasciandosi alle spalle proprio Filottrano, pedalava per tornare a casa. Era il 2017. Penso che siano passati 6 anni e non c’è traccia dell’impronta che Michele avrebbe dovuto lasciare in questo posto, il luogo che gli ha dato vita e morte insieme. Non parlo di una statua, per carità. C’è la panchina bianca su quella curva, lì dove i suoi occhi hanno posato lo sguardo per l’ultima volta. È vero. Ma le strade sono le stesse e la gente ormai lo ricorda per ciò che ha fatto da vivo, per le imprese compiute e non per il modo in cui è morto. Alcuni non lo ricordano o non vogliono ricordarlo forse per senso di vergogna, forse per senso di colpa. O forse no. Forse solo perché la morte fa paura.
La sicurezza stradale di un posto così piccolo
Parliamo tanto di sicurezza stradale nelle grandi città, dove le persone muoiono ammazzate a piedi, in bici e persino sui marciapiedi mentre camminano come se le macchine fossero mostri fuggiti dalle proprie gabbie pronte ad aggredire l’uomo che resta in un posto da quest’ultimo considerato sicuro. Ma a guidare le macchine ci sono altri uomini, gli stessi che si infastidiscono se un pedone tarda ad attraversare o se una bici si mette sul loro cammino. E questa abitudine del dominio della strada è una lotta continua contro i più deboli. Ma, c’è un “ma” che fa la differenza: perché dovremmo considerare paesi come Filottrano più “sicuri” delle altre metropoli, delle città metropolitane, degli insediamenti cementificati con milioni di abitanti?
Un piccolo paese come Filottrano non è più sicuro delle grandi città perché presta il fianco a una apparente abitudine, una predisposizione nel percorrere le strade del piccolo luogo dove si è nati, dove si vive ogni giorno guidando con lo stesso mezzo nello stesso modo per centinaia di volte durante l’anno. Quella consuetudine crea nelle persone una sorta di assuefazione: si abbassa la soglia dell’attenzione e magari ci si distrae perché sembra impossibile che in un buco di paese, dove tutto è collegato da piccole strade che sembrano sicure si possa rischiare di uccidere qualcuno. Eppure succede. Eppure è successo.
Un centro storico pedonabile e ciclabile e non un parcheggio
Le strade a Filottrano sono tutte uguali: asfalto grigio, talvolta senza segnaletica orizzontale, e se ci si allontana dal centro, costeggiato da breccia ed erba. E poi, oltrepassando Porta Marina ci si accorge che la parte di paese incastonata tra le mura è un parcheggio: le macchine sono ovunque anche dove non dovrebbero essere. Non è così che immagino si possa rappresentare l’eredità di Michele Scarponi.
L’appuntamento con la Scarponi Day si rinnoverà anche il prossimo anno e io immagino per il futuro, magari proprio per la prossima edizione, un paese interamente pedonale e ciclabile: questo è il monumento da erigere per Michele. Un centro storico dove le automobili non possono entrare. Che meraviglia di monumento sarebbe e che vanto poi poter dire senza esitazione: Filottrano, il paese di Michele Scarponi.
Filottrano dovrebbe poter restituire l’amore che Michele ha nutrito per lui diventando il simbolo della sicurezza stradale, il simbolo della serenità e della pace in strada, evolvendo in un modello che verrebbe raccontato al mondo e sarebbe la giusta eredità, il lascito più importante, il simbolo più alto che sarebbe possibile accostare a Michele Scarponi.
Per ora questo simbolo risiede nell’amore, nel rispetto e nelle parole di tutti e 300 i ciclisti che hanno messo il piede a terra alla Castelletta in una domenica di ottobre e che sono certa torneranno anche il prossimo anno, magari a visitare un paese che ha finalmente compreso quale sia la strada di tutti e il modo per costruirla.