10 feb 2020 – Sono così tanti, ormai, da non fare quasi più notizia, almeno per i più. Il bollettino di guerra è quasi quotidiano anche soffermandosi solo ai ciclisti professionisti e a chi in bicicletta ci va regolarmente e anche in maniera “ultra” come Omar di Felice.
L’italiano, ultracyclist, appunto – cioè esperto di pedalate estreme per condizioni meteo e chilometri percorsi – è l’ultimo di una serie di ciclisti illustri ad aver subito un incidente. Ne è uscito “bene” perché “Se posso raccontarla è andata bene” ci dice, nell’amarezza di uno stop alla vigilia proprio di un grande viaggio (Omar era alla vigilia della traversata invernale del Deserto del Gobi).
Dopo qualche giorno da quell’incidente, con le botte che fanno ancora male, la sua riflessione è molto interessante, anche nell’equilibrio dei giudizi. Ve la riportiamo:
Ringrazio tutte le persone per i tanti messaggi di affetto e di incoraggiamento.
Ho avuto molto tempo in questi ultimi due giorni di stop forzato. Ho letto molto. Vi ho letto tutti, o quasi, anche se rispondere personalmente sarebbe impossibile.Al tempo stesso mi sono anche interrogato, sul perchè di quell’odio sottocutaneo che, sempre più spesso, esplode quando si legge di un ciclista investito.
Sia chiaro: l’incidente può capitare. Statisticamente, per chi come me, solo nel 2019 ha percorso 45.000 km in sella alla sua bicicletta, l’evento fortuito/occasionale fa parte del mestiere anche se ho trovato di cattivo gusto il doverlo far notare. Come quando un pilota di F1 dopo un tragico schianto si sente dire “te la sei cercata”.
E’ stato un incidente, voglio sperare del tutto involontario nonostante da due giorni continui a pormi la domanda“Come si fa a non vedere un ciclista? Come si fa a non vedere una persona che pedala sul margine destro della strada, con una giacca dal retro giallo, il lampeggiante e la bicicletta gialla? Come si fa a non vederla al punto da azzardare prima una manovra di sorpasso e poi, una volta resosi conto di non avere la giusta distanza (prima ha battuto con lo specchietto sulla mia mano sinistra!) anziché allargarsi per cercare di rimediare al colpo, stringere ancora di piu investendolo completamente?”
A questa domanda ho solo una risposta: mancanza di abitudine e di cultura. Non siamo PIU abituati a vedere un ciclista in strada. E non venitemi a dire che il problema sono i gruppi di ciclisti indisciplinati, o qualcuno che, incurante del rischio, azzarda manovre sbagliate come attraversare con il rosso.
Per un pedone che attraversa fuori dalle strisce pedonale io non mi sentirei MAI E POI MAI autorizzato a non prestare attenzione alle migliaia di utenti della strada.Non è il caso specifico (l’investitore si è fermato e scusato ripetutamente, ammettendo l’errore e per me è una cosa “speciale” in un momento sociale in cui bisogna meravigliarsi di quella che dovrebbe essere la normalità) ma troppe volte durante i miei giri giornalieri vengo apostrofato e insultato da automobilisti frettolosi, irrispettosi, nevrotici.
E’ un fenomeno sociale che va studiato e a cui bisogna trovare una soluzione perchè non è plausibile che, ammesso che nella vostra vita abbiate incontrato qualche gruppo di ciclisti che vi ha rallentato facendovi perdere un importantissimo appuntamento, appena incontrate un ciclista scaricate su di lui tutta la vostra rabbia e frustrazione personale.
Respirate profondamente. Fermatevi. Fate una passeggiata lungo una spiaggia, in un parco o dentro ad un bosco se potete, nel tempo libero. Ritrovate la dimensione “Umana”.Siamo stati il Paese di Fausto Coppi e Gino Bartali. Il primo ha infiammato le folle, il secondo ci ha persino salvato dalla guerra civile con la sua vittoria al Tour de France e ha utilizzato quel potentissimo mezzo chiamato “bicicletta” per salvare migliaia di persone a rischio deportazione durante il secondo conflitto mondiale.
Senza arrivare così indietro (richiederebbe un lungo studio della storia, e non solo di quella sportiva!) tutti voi ricordate di Marco Pantani, giusto? Fu addirittura testimonial della casa automobilistica Citroen per un periodo! In quegli anni la bandana in testa l’aveva anche chi non pedalava.La bici è stata una delle eccellenze della nostra Italia. Come il Parmigiano Reggiano, la Costiera amalfitana, la musica di Verdi e chi più ne ha più ne metta. Non sto scherzando, non indignatevi: basta leggere la storia.
Nel 1994 quando iniziai a pedalare, esattamente sulle stesse strade su cui ora ogni settimana si deve fare la conta dei morti e dei feriti per investimento, avevo 13 anni e pur con tutte le preoccupazioni del caso, i miei genitori mi lasciavano libero di pedalare e divertirmi. Rispettando il Codice, sia chiaro. Questo non è mai stato in discussione. Erano strade più sicure.Fino al 2003 non ho mai avuto nessun incidente che non fosse la banale e casuale caduta dalla bicicletta che tutti noi abbiamo portato a casa, almeno una volta nella vita.
Cos’è successo poi? Me lo domando sempre più spesso. Il traffico è aumentato. Lo accetto e ne prendo atto.
Ma cosa c’entrano le ciclabili, le infrastrutture mancanti, il codice della strada e tutte le cose di cui ci riempiamo la bocca e ingarbugliamo il cervello con quella cosa li fondamentale chiamata “RISPETTO RECIPROCO”? Sentiamo l’esigenza di mandare i ciclisti sulle ciclabili perchè “DOVETE LEVARVI DALLE SCATOLE”. Eppure lo stesso Codice che invocate a gran voce appena pizzicate un ciclista fuori dalle regole (e davvero, ad esempio, rimproverare ad un ciclista che attraversi le strisce pedonali sganciando solo un piede anziché due è veramente pretestuoso e insensato) recita una cosa basilare“LA STRADA E’ DI TUTTI”.
E’ da questo concetto fondamentale che bisognerebbe partire per educare tutti, ma proprio tutti, al fatto che le strade non sono ad uso esclusivo di una categoria. Ma sono di tutti. Sono in egual misura di proprietà della nonna che va ad acquistare il pane con la sua Graziella, della famiglia che è in vacanza, del motociclista in gita, dell’automobilista che si reca a lavoro e si, anche del ciclista che la usa per allenarsi.
Ricordate una cosa che è una legge di umanità fondamentale: I DEBOLI VANNO TUTELATI PIÙ DEI FORTI !
Quando premete su quel dannato acceleratore pensate per un istante che la persona davanti a voi, che vi sta facendo “incazzare” cosi tanto con la sua lentezza potrebbe essere vostro figlio, vostra moglie, un vostro amico, un vostro parente. E respirate profondamente. Fatelo perchè la vita non torna indietro.
Niente da aggiungere a queste parole. Possiamo solo ricordavi del momento previsto il 23 febbraio, a Roma, proprio dedicato al rispetto sulla strada (cliccare qui)
Redazione Cyclinside
Ciao Omar
completamente d’accordo con te.
Questione di educazione e rispetto.
Auguri
Daniele