A pochi giorni dalla scomparsa di Davide Rebellin e di un giovane adolescente a Ferrara è necessario far luce sulle problematiche di sicurezza irrisolte per le strade. Abbiamo chiesto un punto di vista della situazione a Gianni Bugno, indimenticato bicampione del mondo di ciclismo su strada e presidente dell’associazione internazionale dei ciclisti professionisti.
Allo stato attuale, indubbiamente la rabbia nei confronti del fuggitivo è elevata, finché non verrà assicurato alla giustizia. Tuttavia finché non si avranno notizie definitive la CPA «non può fare nulla. Valutiamo il da farsi in base a come evolve la situazione, ad esempio se l’autista verrà realmente incriminato e processato in Italia».
Di sicuro il caso Rebellin non resterà inosservato perché l’aggravante della fuga e della recidività sono inaudite. Partono già le prime iniziative di sostegno e anche manifestazioni di piazza. «Purtroppo non è il primo incidente di questo genere e nonostante tante iniziative, non è cambiato granché. Gli incidenti ci sono e ci saranno sempre. Siamo e saremo sempre a rischio in bicicletta. Qui il problema è che non si è mai trovata una soluzione giusta, adeguata. E poi: è assurdo porsi il problema solo quando ci scappa il morto: le criticità sono ben note e quindi le soluzioni vanno ricercate a scopo preventivo».
La gravità degli eventi pone quindi un nuovo ‘standard’ nella forza del messaggio. «Più forte di così: la vittima era un ciclista davvero tanto abituato ad andare su strada. Ucciso da un camionista, che è sceso, ha guardato ed è andato via. Chi ci governa dovrebbe pensarci e prendersi le proprie responsabilità. Non bisogna più aspettarne “un altro”. Non servono più scioperi e proteste e manifestazioni».
Anche a questo giro, Bugno però non consiglia le piste ciclabili: «intanto in Italia sono realizzate prevalentemente come ciclopedonali e manca un’educazione per usarle bene. Per me rappresentano spesso una ghettizzazione della bicicletta, che dovrebbe essere invece un mezzo in grado di circolare su strada, auspicando un reciproco rispetto con le auto. Anche il limite dei 30 all’ora da solo, non è tutto quello che serve: poi non è facile da accertare, se non con gli autovelox. La parola chiave è il rispetto e l’educazione. Bisogna però partire dal basso, dalle scuole: se si insegna a un giovane ad usare la strada molto presto, in 10 anni si avranno degli utenti adulti della strada finalmente più educati e rispettosi. In macchina si deve rispettare e apprezzare il ciclista: è sempre una persona in meno che si sta spostando senza usare una macchina».
Resta poi il tema del sorpasso, del metro e mezzo e dei tanti che criticano i ciclisti in gruppo. «Se sei da solo, le auto ti sfiorano rischiando di buttarti per terra. Invece se sei un gruppo, un automobilista mediamente ti rispetta di più, anche solo perché ha più paura a sorpassare. Il punto è che i tanti nuovi utenti di oggi – ad esempio chi inizia in età adulta con le ebike – sono meno esperti e quindi ancora più deboli. Per questo servono soluzioni concrete e il metro e mezzo già adottato da Spagna a Francia sarebbe già un progresso importante».
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Concordo che la chiave è nel rispetto reciproco di chi sta sulle strade.
Per alcuni anni sono andato al lavoro in bici percorrendo una strada molto battuta dai camion, il comportamento non è lo stesso per tutti. Alcuni rallentano, aspettano il momento opportuno per superare e poi allargano la traiettoria. Altri camion incuranti di tutto non rallentano e ti sfrecciano accanto a pochi cm: se non hai sangue freddo rischi che lo spostamento d’aria ti faccia cadere.
Più che una legge ci vuole un cambio di mentalità.