Lo scorso 3 luglio si è chiusa la Maratona dles Dolomites numero 35 con un nuovo, grande successo. La prima del ‘nuovo corso’ dopo due stagioni di pandemia che l’hanno fortemente segnata. Nel 2020, tutti a casa. Poi però molti si sono dati appuntamento il giorno designato senza alcuna prova organizzata, facendo in buona parte il giro del Sellaronda e conquistando un ricordino dell’ente del turismo, ottenuto comprovando la percorrenza dei primi ‘quattro passi’ con una traccia digitale. Il 2021 è stato l’anno della ripresa, ma con cifre contenute: serviva mantenere le distanze, in attesa dei primi vaccini. Nel 2022 ci si è resi conto che l’esperienza del Covid ha insegnato qualcosa di buono, ovvero che abbassare la soglia massima dei partecipanti avrebbe aiutato a tenere alta la qualità e la sicurezza dell’evento, cosa saggia considerando il virus non è ancora debellato. E questo senza disattendere le aspettative del comitato promotore e dei partecipanti, comunque giunti a 8.000 su un numero di domande sempre nell’ordine dei 30.000 candidati. L’edizione 2022 verrà perciò ricordata soprattutto come quella del ritorno al ‘nuovo normale’, ma purtroppo anche per via delle giornate eccezionalmente calde, le quali hanno portato alla tragedia nel vicino ghiacciaio della Marmolada. Come se non bastasse, a posteriori è nata un’ennesima polemica sul vincitore: se negli anni precedenti le cronache erano ‘annoiate’ dai soliti nomi, adesso il nuovo outsider ha gettato ombra su sé stesso per un sospetto di doping tecnologico.
Inoltre in queste ultime settimane altre due tematiche hanno contrassegnato le cronache locali nel mondo delle bici. Rinviando ad un altro momento il tema ricorrente del conflitto tra pedoni e bici nei sentieri in alta quota, il territorio che ha fatto nascere la Maratona, l’Alta Badia (BZ), ha da pochi giorni invece ottenuto e celebrato la prestigiosa certificazione GSTC, il label più importante al mondo per la garanzia di sostenibilità del turismo in una destinazione. Solo che, pochi giorni prima, l’amministrazione di Badia aveva approvato un controverso progetto per asfaltare una ciclopedonale a fondo naturale: un fatto che non va a genio né ai locali né ai turisti. Di questo e altro ne abbiamo discusso a posteriori con Michil Costa e altri esperti di settore dell’Alto Adige.
Le granfondo spesso attirano polemiche sui vincitori. Quest’anno, con l’accusa (impossibile da dimostrare) di una bicicletta truccata. Non si corre il rischio di attirare troppi pseudo corridori che fanno troppo vita da pro in una cosa che dovrebbe essere una festa per amatori? Che soluzione ci potrebbe essere?
“Se succedono cose del genere è sempre un dispiacere. Si toglie poesia a una giornata che dovrebbe essere di festa: non siamo al Tour de France. Non mi sento in grado e non voglio dare un giudizio morale su determinate questioni. Mi giunge difficile giudicare una persona della quale non ho conoscenza diretta: certo, ci sono partecipanti che forse avrebbero potuto essere professionisti ma non ne avevano le capacità. Da adesso in poi dovremmo aumentare i controlli anche in ambito tecnologico: i telai dei primi e in modo random. Mi spiace perché sembrerà un approccio da polizia.”
Puntare invece sui tratti cronometrati?
“L’ho sempre detto. In salita sono un’ottima soluzione, continuano a piacermi. Chissà che non ci arriveremo prima o poi. Sicuramente l’idea è buona. Non vogliamo togliere i tempi del tutto, ma valorizzare le salite è senz’altro intelligente.”
Al di là della Maratona, dei due Sellaronda Bike Day e del Dolomites Bike Day, c’è stata qualche evoluzione nelle prospettive di chiusura delle strade dei grandi passi in altri momenti, visto che dal 2019 non è più stato concretizzato nulla?
“Non è un libro chiuso. Se ne discute ancora. Bisogna senz’altro aumentare ulteriormente la sensibilità degli autoctoni: è un processo lento. Quest’anno, c’è stata una piccola novità: sono stati disegnati dei pezzi di ciclabili su per Gardena e Sella. Sono della convinzione che fra non moltissimo tempo i passi si chiuderanno. La settimana scorsa ho presentato il mio libro a Ortisei: c’era tanta gente locale e non ne ho sentito uno che avesse detto che è contrario alla loro chiusura. La via è segnata.
Come va con l’afflusso dei partecipanti alla Maratona, anche in ottica della freschissima certificazione GSTC, della quale l’Alta Badia può vantare di essere fra le prime in Italia ad averla. Si cercherà di compensare le emissioni dei viaggi o di trovare altre soluzioni di trasporto?
“Si deve fare di più. Sempre la settimana scorsa, ero a cena con Helmut Moroder, noto per essersi occupato del treno della Val Venosta. Sul tavolo ora c’è il progetto di una linea che collega Bolzano con Cortina: non è ad alta velocità ma potrebbe concretizzarsi in tempi ragionevoli. Serve però anche pianificare un treno verso Brunico. Una misura possibile a corto raggio invece è quella di contingentare gli ospiti, senza ridurre i letti. Dovremmo aumentare l’attrattività di questi luoghi, incentivando le persone a prenotare con 2-3 anni di anticipo e a restare più tempo. È calcolato infatti che l’impatto anche solo di una notte in più nei soggiorni medi dei turisti avrebbe un riflesso estremamente positivo sul traffico. Insomma puntare su meno accessi e sull’allungamento dei pernottamenti è la soluzione più sostenibile ed economica.”
Di recente è emerso un progetto di ciclabile in Alta Badia che ha subìto però diverse critiche perché andrebbe ad asfaltare un sentiero amato dai pedoni e utilizzato di frequente dagli escursionisti a cavallo. Ci sono alternative?
“Bisogna sempre porre massima attenzione e rispetto per i nostri ospiti, però è importante che non si vadano a togliere spazi e possibilità di passeggiate a chi un ciclista non è. Probabilmente l’asfalto è la peggiore delle soluzioni possibili. Un mio amico era a capo di un’azienda leader al mondo nei cementi e anche io mi ero fatto una cultura a riguardo: bisogna puntare su alternative più ecologiche e, se non si trovasse un tipo di copertura adatta, meglio lasciare il fondo com’è e guardare altrove“.
Chi ha completato almeno una volta la Maratona ha immediatamente capito a quale sentiero si fa riferimento. Si costeggia il torrente Rü Tort nel fondovalle (e il Rü da San Ciascian per scendere a La Villa dall’altro versante), all’ombra di un bosco di conifere. In Badia è uno dei più conosciuti e il gran giorno della gara rappresenta l’unico canale di comunicazione fra Corvara e La Villa e, da una cert’ora, anche verso San Cassiano, poiché fino al pomeriggio, le corrispondenti strade SS244 e SP37 sono chiuse al traffico. In quel giorno, quindi, chi ha avuto fretta di rientrare a casa o in un hotel più a Nord rispetto a Corvara, è passato di lì almeno una volta anche con la propria bici da corsa. La Maratona non c’entra nulla con questo progetto -non è nemmeno menzionata- ma oggettivamente può sembrare solo quello il giorno in cui innegabilmente tanti ciclisti ‘da strada’ si riversano su quel sentiero, solo per mancanza di alternativa, mentre nel resto dell’anno, per quanto bello paesaggisticamente, anche se disponesse di superficie in asfalto potrebbe non essere sufficientemente attrattivo per i ciclisti ‘road’ in quanto molto più lento, tortuoso e ripido rispetto alle rispettive strade principali.
La prospettiva quindi di riassegnare lo spazio in modo apparentemente frettoloso o sbilanciato, crea un paradosso: una volta tanto, la scelta progettuale verte unicamente a favore dei ciclisti, senza però farli del tutto contenti, perché implicherebbe di asfaltare e riservare alle biciclette circa 3 metri di sentiero attualmente a fondo naturale, il che lascerebbe solo 1 metro circa all’utenza pedonale ed eliminerebbe del tutto la possibilità di accesso ai cavalli, come spiega il Comité Tru Do l’Ega nella petizione (https://www.change.org/p/salvun-le-tru-do-l-ega-salviamo-il-sentiero-lungo-il-fiume). Ma è anche da notare che benché le misure appaiano tecnicamente plausibili – anche se un po’ squilibrate- avrebbe comunque luogo una scomoda simmetria: se da un lato si rendono scontenti gli ospiti abituali di quel tracciato, dall’altro, come sopra accennato, non è detto che si facciano felici nemmeno i ciclisti, visto il percorso poco invitante, privo di illuminazione e in generale poco adatto in generale ad essere usato nelle stagioni più fredde.
Il vespaio sollevato per mezzo di social e stampa si è alzato nelle ultime settimane giunge da un lato in contemporanea alle ‘solite’ discussioni estive a carico dell’eccesso di traffico sui passi, soprattutto motociclistico. Inoltre non passa inosservato nemmeno il preoccupante conflitto d’utenza sui sentieri in alta quota, conseguente all’avvento delle e-bike. Inevitabilmente, quindi, questa storia merita importanti riflessioni strategiche che vanno oltre le sole considerazioni sul tipo di fondo da riservare al sentiero.
In tale quadro, è drastica la posizione di Manfred Canins, per tanti anni direttore dell’Associazione Turistica di Badia. Questi è d’accordo a ottimizzare il fondo con sterrato macinato più finemente, definendosi “assolutamente contrario ad asfalto o cemento, anche se il problema maggiore è che sparirebbe la passeggiata. E i pedoni dovrebbero camminare in fila indiana”. Allo stesso tempo, Canins non nega le necessità di collegamenti sostenibili: “Una soluzione alternativa sarebbe rendere ciclopedonale il marciapiede fra i paesi, adeguatamente allargato e completato nei tratti mancanti. Insieme a una corsia preferenziale ove possibile, anche nei centri abitati, dove bisogna anche limitare la velocità veicolare. Servirebbe poi regolare meglio la convivenza fra pedoni e ciclisti con un’apposita segnaletica e, magari, rendere obbligatorio almeno un campanellino sulle bici, incluse le mountain bike”. Secondo Canins, il problema emerso è un grosso autogol da parte dell’amministrazione comunale. “A fronte di un 80% circa di utenza pedonale e di un’indagine che comunque dimostrava che la popolazione gradisce una pista ciclabile, i problemi a riguardo sono sia nell’asfalto sia nel non aver tenuto conto dei pareri degli stakeholder, a partire dall’associazione turistica. Al consiglio comunale, infatti, era arrivata per tempo una comunicazione ufficiale da parte degli enti del turismo, ma è stata completamente ignorata”.
Conferma queste affermazioni, Roberto Huber, direttore di Alta Badia Brand: “In questa fase finale di approvazione del progetto, né la Cooperativa Turistica, né Alta Badia Brand sono state consultate da parte del Comune. Nei giorni precedenti l’approvazione in Consiglio Comunale, i due enti hanno mandato una lettera ufficiale al Comune via PEC, indicando le proprie perplessità sul progetto. Da sempre entrambi sono a favore della realizzazione di un percorso ciclabile, ma non con queste caratteristiche. Il nostro obiettivo è assolutamente quello di trovare una soluzione attraverso il dialogo con il Comune”.
Insomma, è senza dubbio necessario migliorare la ciclabilità anche in ottica di espansione della rete in Alto Adige, ma è necessario adeguare le scelte al territorio. Quanto succederà in Alta Badia, probabilmente, farà da apripista per altre realtà.
A testimoniare l’inopportunità dell’asfalto in quel tratto si accoda anche Markus Lobis, amministratore di Kyklos, società di Bolzano incaricata di pianificare l’evoluzione della mobilità ciclistica provinciale: “Il piano per la mobilità sistematica aveva raggiunto circa la quota di 1.000 metri. Il caso della Badia è assai particolare poiché è difficile da includere nelle unità funzionali ciclistiche. Esula dal resto della regione perché diverso come oggetto di studio, in quanto di solito si punta sull’aumentare le ciclabili in zone più abitate. Non dimentichiamo che l’asfalto è indispensabile soprattutto se parliamo di ciclabili per gli spostamenti quotidiani, ma allora bisogna garantire la ciclabile aperta tutto l’anno: cosa assai difficile d’inverno a quelle altitudini. In Alta Badia quindi l’asfalto non è strettamente necessario, ci sono altre superfici che richiedono però più manutenzione. C’è poi la questione del percorso. Meglio trovarne uno ‘meno freddo’, a bordo delle strade principali: la ciclabile non è importante che passi lungo il fiume. È più importante che sia fatto a norma di legge”.
C’è poi in conclusione ancora qualche aspetto portato alla luce da Patrick Kofler, titolare dell’agenzia Helios di Bolzano, specializzata in turismo e mobilità sostenibile: “Da un lato non mi piace l’idea di mettere i ciclisti e i pedoni sulla ciclopedonale. Ma il punto cardine è un altro: sembra non sia stato fatto un lavoro di gestione del processo decisionale, che rischia di ritorcersi contro a prescindere dalla soluzione tecnica. Nella società di oggi non esiste più fare questi tipi di lavoro senza. Spesso, le decisioni basate solo su aspetti tecnici, non vengono più accettate dalla popolazione senza che questa sia stata inclusa. Per tale ragione, infatti, in ambito urbano si è arrivati a evolvere i piani urbanistici in Pums, che mettono al centro la gestione positiva dei diversi interessi presenti: è importante l’accordo fra le parti. Un approccio partecipativo in sostanza serve per avere meno rogne dopo. In assenza di inclusione, è dimostrato, i cittadini si ritorcono contro, come sta succedendo con questa petizione. Basta leggere la legge provinciale ‘Territorio e paesaggio’; prevede, all‘articolo 51, comma 2, che ‘il programma di sviluppo comunale sia elaborato nel quadro di un procedimento pubblico’. Occorre garantire la partecipazione delle Cittadine e dei Cittadini, delle associazioni e dei gruppi di interesse. Affinchè una partecipazione pubblica abbia successo sono indispensabili trasparenza, informazione e comunicazione”.
Questa vicenda probabilmente vedrà altre puntate nei prossimi mesi. Ma l’insegnamento da trarne, come diceva Henry Ford, è semplice: “Il riunirsi è un inizio. La coesione è un passo avanti. Lavorare insieme è un successo”.
18 ago 2022 – Riproduzine riservata – Cyclinside