4 set 2018 – Alla fine un nodo è arrivato al pettine. Mi sono sempre chiesto cosa c’entrassero in un Mondiale i singoli team. Questo dal momento in cui la cronometro a squadre viene disputata per team e non per maglia nazionale.
Oggi l’Italia che punta al Campionato del Mondo di Innsbruck, certamente il più duro degli ultimi anni dal punto di vista altimetrico, si trova a fare i conti con una dicotomia che non aiuta.
Con Nibali che soffre ancora i postumi della caduta al Tour de France e Aru che sembra non dare garanzie di forma assoluta, il CT Davide Cassani punterebbe su Damiano Caruso, siciliano in forza alla BMC.
Il problema è che Caruso fa parte dell’organico della squadra americana che punta al titolo iridato nella cronometro a squadre. Prova che Cassani, pensando alla gara in linea, non vorrebbe che Caruso avesse nelle gambe al via di un Mondiale così complicato. Che fare allora?
Contatti e diplomazia porteranno certamente a una soluzione. E confidiamo decisamente nella bravura di Davide Cassani in questo senso, ma il dubbio è un altro: perché trovarsi in una situazione del genere? Che senso ha una prova mondiale in cui gli atleti corrono con la propria formazione? Che in un mondiale ci siano delle alleanza tra corridori che durante l’anno corrono per lo stesso team è cosa che è capitata e capiterà ancora, ma è altro rispetto al nostro discorso. Alleanze per convenienze varie ce ne sono state sempre (il Mondiale, come ogni corsa, è affascinante anche per questo). Ma ci piacerebbe vederlo completamente per squadre nazionali. Anche nella cronometro. Dopo aver buttato via la Cento Chilometri a cronometro a squadre una disputa Mondiale a squadre nazionali non esiste più.
E se addirittura le i team possono avere (giustamente, visto il regolamento) esigenze in contrasto con le nazionali diventa urgente un intervento dai piani alti. O no?
Guido P. Rubino