11 lug 2018 – L’unica paura di Asterix, il simpatico guerriero gallico scaturito dal genio creativo di René Goscinny e Albert Uderzo, era che il cielo potesse cadergli sulla testa. Tutto il resto non era un problema, per lui e per il suo amico Obelix: se la cavavano sempre.
Erano altri tempi, bisogna dirlo. Nessuno, tanto meno i romani che inutilmente cercavano di conquistare il loro villaggio in Armorica (l’attuale Britannia, che oggi ospita il Tour), avrebbe mai pensato di bussare alla porta di Asterix per un controllo antidoping. Perché è evidente che Asterix si dopasse, usando la pozione magica del druido Panoramix. Ma non ditelo troppo in giro: rischiamo che vengano riscritte le classifiche e gli albi d’oro del De bello Gallico di Giulio Cesare, duemila anni dopo. Sarebbe frustrante. In ogni caso, tranquilli: Asterix, nel ciclismo di oggi, lo beccherebbero subito, con tutti i controlli che ci sono. Obelix forse, essendo caduto nel paiolo da piccolo, avrebbe diritto a una TUE sine die. O qualcosa del genere.
Stiamo parlando di un fumetto: per chi non l’avesse ancora capito, si scherza.
Però qualcosa di vero c’è in quelle storie: è proprio la paura che il cielo ti cada sulla testa. Lo sanno bene a Lorient, meravigliosa città bretone da cui oggi parte la quinta tappa del Tour. Lì il cielo cade ripetutamente, tra il 1943 e il 1944. Lo fanno crollare gli aerei degli Alleati che, in modo incessante, bombardano Keroman. Sembra il nome di un personaggio delle storie di Asterix, ma è la gigantesca base per sottomarini costruita dai nazisti, su una propaggine della costa, durante la Seconda guerra mondiale. Enormi strutture in cemento armato, con spessori mai visti prima. È impressionante Keroman, sembra uscita da un film di Star Wars. Ed è praticamente indistruttibile. Lorient viene quasi rasa al suolo dai bombardamenti, ma la base degli U-boat tedeschi resiste. Al termine della guerra, sarà riutilizzata regolarmente dalla Marina francese. Dismessa dal 1997, oggi Keroman è visitabile dal pubblico.
Strane e terribili macchine i sottomarini, destinate a infliggere sofferenze non solo ai nemici, ma anche ai loro stessi equipaggi: spazi angusti da condividere, mancanza di aria e luce naturali, odori mefitici, alimentazione povera, nessuna speranza di sopravvivere in caso di affondamento in acque profonde. Un incubo. Mi sono sempre chiesto cosa mai avessero in testa i Beatles nel 1966, quando scrissero Yellow Submarine, una delle loro canzoni più celebri e banali: «Every one of us has all we need […] We all live in a yellow submarine!». Girava roba strana a quei tempi, tra le rockstar. Ben peggio della pozione di Asterix.
Forse accorgendosi del nonsense di Yellow Submarine, i Beatles inseriscono sullo stesso “singolo” in vinile anche Eleanor Rigby, la loro canzone più bella e profonda: «Ah look at all the lonely people […] All the lonely people / Where do they all come from? / All the lonely people / Where do they all belong?». La solitudine e l’impossibilità di condividerla, ma anche l’incapacità di aiutarsi a vicenda. Sembra quasi la morale della tappa che sta per andare in scena.
Il percorso è bellissimo e molto movimentato dal punto di vista altimetrico, praticamente una classica del Nord: 205 chilometri, per arrivare al traguardo di Quimper, inframezzati da 5 “Gran Premi della Montagna” (due di quarta categoria, poi tre di terza). Per non farsi mancare nulla, anche uno strappo al 9 % nel chilometro finale. Un percorso “hilly”, come si dice in gergo tecnico. Un lusso, dopo il tracciato “silly” di ieri. E bellissimi sono anche i paesaggi e i borghi della Bretagna attraversati: una sequenza infinita di “cartoline” che vorresti riuscire a fermare, isolare, salvare e archiviare mentre la corsa procede. Ci sono giorni in cui servirebbero quattro occhi e quattro mani per seguire e raccontare bene una tappa del Tour.
Verso la solitudine beatlesiana vanno subito sette corridori: Chavanel, Edet, Gesbert, Vermote, De Buyst, Calmejane e Skujins. Dopo 8 km sono già in fuga. Raggiungono un vantaggio massimo di 4 minuti e 25 secondi.
Sylvain Chavanel attacca sulla Côte de Kaliforn, per prendere i punti del primo GPM di giornata. Da lì in poi prosegue da solo. Sembra un remake della seconda tappa, ma non durerà così a lungo. Saranno forse le gambe che non girano come vorrebbe, saranno le direttive che arrivano dall’ammiraglia della Direct Énergie, sarà quel che preferite immaginare, ma Sylvain rallenta e aspetta i sopravvissuti della fuga: Edet, Skujins e, soprattutto, Calmejan, suo compagno di squadra che sembra avere le energie giuste. Proseguono insieme, i quattro, a lungo. Poi Chavanel si spegne, si stacca: viene riassorbito dal gruppo dopo la Côte de Ménez Quélerc’h.
È arrivato il momento di giocare tutte le carte per i tre rimasti in fuga. Quando mancano 32 km al traguardo, hanno ancora 1 minuto e 45 secondi di vantaggio: non è molto, ma nemmeno poco su un tracciato di questa natura. Provarci è possibile e sarebbe quasi un dovere. Ma non si intendono, non collaborano, pasticciano un po’.
Calmejane e Skujins staccano Edet: restano soli, come Eleanor Rigby e Father McKenzie nella canzone dei Beatles, e si sfidano sulla Côte de la Montagne de Locronan, l’ultimo GPM di giornata. La loro fuga finisce lì, di fatto: vengono ripresi all’ultimo traguardo volante.
Inizia un’altra corsa col gruppo compatto, o quasi. A 2 chilometri dall’arrivo cominciano le grandi manovre per la volata, che si annuncia in salita. Parte Philippe Gilbert, quando mancano 700 metri, ma è un fuoco di paglia. Parte la maglia gialla Van Avermaet, ma si spegne. Parte il vero sprint e si capisce che sarà sfida tra Peter Sagan e Sonny Colbrelli. Vince di nuovo Sagan, da taluni (e con grande fastidio di altri) soprannominato “bomber”: quasi una profezia, in una tappa partita da Lorient.
La classifica generale non subisce rivoluzioni. Skujins conquista la maillot à pois davanti a Chavanel e Calmejane. Ma è quasi irrilevante perché, dopo una giornata in fuga, raccolgono solo il riso lanciato da altri per altri: proprio come Eleanor Rigby… Ah! Look at all the lonely people!
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)