12 lug 2018 – Ci sono giorni in cui proprio non puoi seguire il Tour de France come vorresti: gli impegni di lavoro e i problemi della vita ti portano altrove. Per un istante, allora, provi un po’ d’invidia per i giornalisti sportivi che raccontano le corse, come professione. Poi leggi quel che scrivono e, salvo rare e lodevoli eccezioni, l’invidia ti passa. Non è proprio il caso. Però il tuo problema rimane: hai visto poco, quasi nulla. E ne devi parlare. Quello è il momento in cui ti torna in mente Mark Twain, il grande scrittore americano, e la sua fulminante raccolta di saggi “Come raccontare una storia e l’arte di mentire” (1897).
Mark Twain non è mai stato a Brest. Almeno, non mi risulta. Forse gli sarebbe piaciuta questa città della Britannia, cresciuta intorno al suo porto e al suo arsenale fortificato, da cui oggi prende il via la sesta tappa del Tour: 181 chilometri per arrivare al traguardo posto sul Mûr-de-Bretagne.
Forse il vecchio Mark, che fu anche capitano di battelli fluviali sul Mississippi, avrebbe gradito navigare il grande canale che da Brest porta a Nantes: una via d’acqua favolosa, lunga 385 chilometri. Forse. Chissà. Non lo sapremo mai. Perché il personalissimo “Tour de France” di Mark Twain si limita a un viaggio in treno da Marsiglia a Parigi, nel 1867. Poche tappe. È solo una parte, nemmeno la più importante, di un lungo itinerario in Europa, Terra Santa e Medio-Oriente. I suoi resoconti di viaggio saranno pubblicati due anni dopo in un libro intitolato “Gli innocenti all’estero”. Lì, nel racconto di quel viaggio in treno, potete trovare una descrizione dei paesaggi francesi che vale anche per quello che il Tour ci ha mostrato oggi: «Che terra incantevole! Che giardino! Sicuramente questi prati verdi e brillanti sono spazzati, spazzolati e annaffiati ogni giorno e le loro erbe tagliate dal barbiere. Sicuramente le siepi sono modellate, misurate, e la loro simmetria preservata dal più architettonico dei giardinieri». Niente male, direi, per una delle “penne” più caustiche della storia della letteratura.
Mark Twain è uno pseudonimo. In realtà, lo scrittore si chiamava Samuel Langhorne Clemens. Esistono molte leggende e versioni sull’origine del suo pseudonimo. Ma se inserite “Mark Twain” nel traduttore automatico di Google, quello vi dirà: “segnare due volte”. Due volte, come le ascese al Mûr-de-Bretagne previste dalla tappa odierna. Segnato male sulle mappe del Tour, che non ti fanno capire che quello è anche il traguardo finale, il Mûr è una salita relativamente breve, ma probante. Da togliere il fiato. Un ostacolo vero. Talmente vero da essersi meritato il soprannome di Alpe d’Huez della Britannia: iperbole clamorosa che perdoniamo ai nostri amici francesi.
Parte la tappa e, come ormai è abitudine in questo Tour, parte anche la fuga: Pichon, Gaudin, Turgis, Grellier e Smith se ne vanno. Eroi di giornata con obiettivi diversi, comunque incompatibili con la vittoria di tappa. Bene così: chi ha la fortuna di poter seguire comodamente la corsa in televisione potrà godersi lo spettacolo dei paesaggi e dei borghi attraversati.
Dion Smith va alla caccia di GPM: sta inseguendo la maglia della Pimpa, quella che io amo di più. Alla seconda e modestissima vetta di giornata, la Côte de Roc’h Trévézel, i fuggitivi hanno 7 minuti di vantaggio. A quel punto si mette a tirare la Quick-Step Floors, che spera di poter scortare Julian Alaphilippe alla conquista della maglia gialla. Mancano poco più di 100 chilometri al traguardo, c’è vento forte, contrario, e il gruppo inizia a sgranarsi e ad allungarsi. Si allunga troppo. C’è un irresistibile profumo di ventagli nell’aria. Profumo di guai. Guai seri. Ma bisognerebbe riuscire a sentirlo.
È questo il momento in cui si comprende la vera origine dello pseudonimo di Mark Twain: un’esclamazione tipica del gergo dei marinai fluviali del Mississippi che sta per “marking on the twine”, cioè misurare la profondità dell’acqua con l’apposito spago. Per non incagliarsi, per non restare bloccati. Ma non lo sa quasi nessuno in corsa. Nessuno misura la profondità delle cattive acque in cui sta finendo il gruppo che, infatti, esplode in tre tronconi separati.
Davanti restano quasi tutti i contendenti per la vittoria finale a Parigi. Quasi tutti, perché la Bahrain Merida di Vincenzo Nibali si fa di nuovo cogliere impreparata. Nibali è nel secondo troncone, con soli due compagni a scortarlo. La Quick-Step mena forte e ha anche il supporto della BMC. Sono 10 chilometri di panico assoluto, in cui sembra che il Tour stia per volare via, anzitempo, per alcuni dei protagonisti più attesi. Perché non c’è solo Nibali in difficoltà: c’è anche l’imperscrutabile Nairo Quintana con la sua Movistar. Proprio la squadra spagnola si incarica di ricucire lo strappo, favorita dal mutare di direzione delle strade che portano il vento, da contrario, a favorevole: un grande vantaggio per chi insegue.
Dopo un po’ il secondo troncone si unisce al primo, poi arriva anche il terzo; da lì in poi, si torna a respirare e a vivere l’ordinarietà del Tour: cadute, fuggitivi che cedono, fuggitivi che continuano invano fino al momento in cui vengono ripresi.
E finalmente si arriva al Mûr-de-Bretagne, due volte segnato nella testa dei corridori e nelle tattiche di squadra: Mark Twain.
Il primo passaggio è quasi di studio, ma al secondo succede di tutto: Dumoulin fora quando mancano 5 chilometri al traguardo, si capisce subito che sarà dura per lui. Poi si becca pure una penalizzazione per aver sfruttato troppo la scia delle ammiraglie. Quindi tocca a Bardet il guaio meccanico: l’uomo in cui tutta la Francia ripone le sue speranze deve farsi prestare la bici Tony Gallopin.
È arrivato il momento di Daniel Martin: attacca quando manca poco più di un chilometro al traguardo, alla sommità del muro. Sputa l’anima, si trasfigura e, come spesso gli capita, riesce a tenere fino alla fine. Vince. Se conosci il ciclismo, se hai studiato il ciclismo, non puoi non voler bene a uno come Daniel Martin.
La maglia gialla resta sulle spalle di Greg Van Avermaet, ma Geraint Thomas, detto “G” per gli amici, l’ha già prenotata. I ritardi di Dumoulin e Bardet muovono la classifica generale. C’è anche un piccolo distacco di Froome. Paradossalmente, anche se nessuno o quasi se n’è accorto, il vincitore morale di giornata è Vincenzo Nibali, che accorcia il distacco rispetto ai principali avversari per la vittoria finale. Di giornata: da qui in avanti, gli servirà una squadra più attenta e performante per inseguire i suoi sogni gialli.
È stata una tappa dura, per tutti. Anche per me. In ogni caso, tutto può ancora accadere in questo Tour e tutto potrà essere comunque raccontato: «Fiction is obliged to stick to possibilities. Truth isn’t».
Indovinate chi l’ha scritto… due volte.
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)