12 mag 2019 – Puntando verso Bologna uno l’aveva detto: ci vorrebbe un Caravaggio al Giro d’Italia. Nulla di artistico, tanto meno di filosofico, faceva semplicemente riferimento alle previsioni meteo. Bello di mattina e poi diluvio e bufera nel pomeriggio, proprio sulla partenza del Giro, prevista a qualche minuto dalle 5 di pomeriggio.
Ci vorrebbe un Caravaggio a sparare raggi di sole a bucare le nuvole e illuminare i corridori. Il dio dei ciclisti a volte ascolta, altre perdona ma chiede una vittima sacrificale.
Doveva essere Simon Yates stavolta. Non era scritto da nessuna parte, ma il britannico si era buttato allo sbaraglio nelle scelte di partenza rispetto ai suoi colleghi che puntano alla Maglia Rosa. Tutti prima e lui, solo, dopo. Alla fine. Quando i giochi probabilmente sarebbero già stati fatti e magari pure sotto al diluvio. Roba da comprometterla subito la classifica.
Yates ha fatto spallucce e ha guardato i suoi avversari diretti scaldarsi e sudare mentre lui se ne stava ancora comodo sul bus della squadra a prepararsi senza fretta. Ma aveva pure cominciato a sorridere: andate pure ragazzi, ora che c’è un po’ di vento. Il sole qui splende e se il meteo della mattina non mente il mio sacrificio è già premiato: partirò col bello e pure con meno vento.
A Yates dobbiamo tutti una riconoscenza: quella di aver dato interesse a una tappa altrimenti già finita col via dei primi più forti. Invece ci ha lasciati appesi a un forse che è diventato un ottimo secondo posto. Gli perdoniamo anche di aver scippato un gradino del podio al nostro Nibali Vincenzo da Messina, pretendente al Giro.
Caldo, quasi caldissimo. Da convincere più di un corridore a scaldarsi col giubbino refrigerante. Per Roglic c’era pure un ventilatore con nebulizzatore, impossibile dargli torto. Oggi poi ancora di più, visto che ha vinto quasi con facilità.
“Provate a prendermi”. Primoz Roglic se la ride dal podio: è riuscito a far convivere il Celeste Bianchi col giallo e con il rosa della sua maglia nuova di zecca. Sì, ma andateci piano con i paragoni, anche se mi piacciono così tanto tutti quei secondi che ho messo già a parte.
Davanti San Luca, anzi da sotto, la strada sale all’improvviso. Una curva a gomito da frenare pure e poi l’asfalto ti guarda in faccia, subito severo.
Un boato di folla accompagna in salita. Il pubblico è ammassato, accalcato, appeso, quasi mai seduto. I corridori li applaude uno per uno, a spingerli su a voce dove non si può con le mani. Anzi, meglio stare lontani che va bene l’entusiasmo, ma meglio non esagerare. Anche se è una gara di neanche 13 minuti, per il più forte, ci vuole tanta concentrazione lo stesso.
Un bonus in più è riservato agli italiani.
Provate a chiamarvi Vincenzo Nibali a Bologna, l’11 maggio 2019, ma anche Giulio Ciccone, Elia Viviani, Diego Ulissi o Davide Formolo. Vanno bene anche Manuel Belletti o Damiano Cima, oppure Salvatore Puccio, che ha pedalato da fine corsa in questa cronometro a rovescio. Per tutti c’è un applauso in più e un urlo più forte. Roba da arrivare sordi in cima al San Luca.
Il pubblico sa e segue e li aspetta tutti al momento giusto, ordine di partenza alla mano.
Cosa sono otto chilometri per corridori che ne hanno davanti 3.578,8?
Se sono a cronometro ci si può morire di fatica, se poi c’è la salita è ancora peggio. Al punto che qualcuno rischia di perdere il controllo della bicicletta e del cambio fino a far cadere la catena per rimettersela su da solo, mentre dal pubblico qualcuno spinge sempre troppo poco.
Gaviria, intanto, voleva andare un po’ meglio del suo 118° tempo, a quasi due minuti da Roglic. Difficile pensare di prendere la Maglia Rosa in volata ormai. Tornando verso la partenza, a corsa finita, lo incrociamo sulla strada. Ci vede e ci saluta così, prima di fare un sorriso:
Sulla salita hanno scritto a Pantani una, due e mille volte, si sa che la strada che impenna era roba sua. Intanto c’è anche chi se la prende più comoda, regolando le forze sul tempo massimo e magari cercando di uscire già, strategicamente, di classifica. Tra quelli che pedalano piano, uno pedala più piano di tutti. Tanto che oltre alla maglia nera, vince anche il biglietto di ritorno a casa. Che va bene che per Hiroki Nishimura casa è lontana quei sette fusi orari che richiedono un viaggio più lungo di tutti, ma il giapponese ha giocato troppo d’anticipo finendo fuori tempo massimo già nella prima tappa. Sarà per la prossima volta.
Per noi, intanto, sarà per la prossima tappa. Ma di questo, ovviamente parleremo tra qualche ora.
Il Giro d’Italia è iniziato!
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Guido P. Rubino