di Guido P. Rubino
Cosa c’entra il ciclismo con la pista? No, niente multidisciplina in questo caso, non sto nemmeno parlando di volate furbe. Surplace, in questo caso, è nella sua accezione più filosofica: equilibrio, staticità.
Giro d’Italia in surplace.
Mi è venuta in mente questa frase, ieri, al termine di una tappa da cinquemila (5000!) metri di dislivello e tre salite di prima categoria e discese insidiose.
Poteva essere, invece roba da fantasisti o ingegneri.
Fantasista poteva essere un attacco alla Van der Poel, scriteriato prima ancora che forte. Andiamo all’arrembaggio, a tutta e poi vediamo che succede e quante forze rimangono. A costo di sfinirsi lontano dal traguardo. Già, ci hanno abituati bene l’olandese e gli altri giovanotti della sua stessa serie. Inutile illuderci, non possono mica essere così tutte le corse.
Da ingegneri, invece, poteva essere una tappa progettata prima, in albergo e in ammiraglia. Un attacco concertato, fatto con la diplomazia di altre squadre, alleanze di strada, fughe bidone, fagianate, come le chiama Riccardo Magrini, ma ragionate.
Invece siamo rimasti lì, a osservare un equilibrio di duecento chilometri mentre il Giro d’Italia scolpiva l’elenco dei protagonisti tirandolo fuori dalla massa solida del gruppo. Colpi di pedale a far saltar via schegge, gregari e cercatori d’oro. Le montagne a far da scultrici della forma del Giro, al posto dei corridori. Tutti lì, fermi come in una fotografia che blocca ciò che è in movimento. Un’azione ferma se non porta a cambiamenti.
Normale allora essere ancora perplessi su questo Giro d’Italia
Ma surplace è termine ciclistico, che da immobilità prevede anche dinamismo improvviso. È attesa prima di scatenare le forze. Filosofico anche per questo, meditazione, attesa, concentrazione.
Oggi potrebbe essere il momento giusto.
25 mag 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside