di Guido P. Rubino
23 mag 2021 – C’è quel momento in cui è la fatica a fare la differenza. Non sembrerà neanche più contare quanto sei forte o meno, conterà quanto saprai soffrire. La capacità di sofferenza diventa, in definitiva, la misura del valore. Certo, la forza conta pure, ma intanto c’è chi è più forte di altri
Succede quando sei davanti o quando sei dietro. È nel momento in cui la velocità sembra aumentare a dispetto delle gambe che dicono di no, di lasciare perdere. Sono un dolore e una disperazione che a volte fanno pensare se davvero, andare in bicicletta, sia mai stata una scelta azzeccata nella vita. Ora avrei potuto starmene seduto da qualche parte, magari a dormire. Voglia di dormire sì, gambe distese.
E invece è fatica di quella brutta.
C’è un momento, in bicicletta, in cui si pensa di mollare, qualcosa scatta e allora basta. Arrivo fino a lì e poi al diavolo tutti, proseguite pure senza di me che non mi importa più se non valgo niente.
Poi c’è quella vocina, il tuo vecchio direttore sportivo che te lo diceva e non c’era bisogno di guardare misuratore di potenza e nemmeno il cardiofrequenzimetro: “guarda che se stai con loro, non è detto che tu stia peggio di loro. Se non ti staccano, stanno come te”.
Ti sei sempre chiesto se ci fosse una logica in questo ragionamento, ma intanto sei lì, vedi gambe lucide e nervose di fatica, non hai nemmeno il coraggio di guardarti intorno, ma quello affianco a te ha la bocca spalancata: sta per mollare?
Fissi la ruota davanti a te per misurarne impercettibilmente i millimetri di distanza, pensi che potrebbero aumentare da un momento all’altro ma ancora no, sei lì quindi.
Poi succede altro. Ma chi è che sta tirando così forte davanti, a quanto la vogliono fare questa salita? Ecco ora mollo. Invece ti volti un attimo e ti accorgi che sei ultimo, sì, ma dietro non c’è più nessuno!
Dove diavolo sono finiti tutti quanti? Non c’è più il gruppo.
Allora realizzi, se la strada lo permette guardi in basso verso la fatica già fatta, e li vedi lì, staccati. E sì, a volte le fughe decisive vanno via così, un attimo prima di morire in bicicletta e ti rendi conto che qualcosa è cambiato e le gambe ricominciano pure a girare. Non sei più nella testa del gruppo ma in fuga. A volte te ne accorgi solo perché la macchina del cambio ruote neutrale ti lascia sfilare e ci metti pure un attimo a farlo vero nella mente.
Fatica.
Lorenzo Fortunato forse ci ha pensato un attimo, quando ha strizzato gli occhi per non vedere la strada che non finiva più. Quanto accidenti sono lunghi 500 metri in bicicletta, e 300? E 200?
Ormai, alla fine sembra quasi facile, ma c’è quella voglia di mettere il piede a terra e scendere. Non è roba da fare una salita del genere, almeno, vi prego, non più in bicicletta. Basta.
Invece è lì che ha fatto la differenza.
Ma voi pensate che se ieri fortunato aveva una bici diversa non vinceva siete tutti malati è stato un grande la bici non c’entra niente
Tranquillo, Antonio, non lo pensiamo affatto :-)