19 apr 2020 – Abbiamo persino smesso di guardare i numeri. C’era quella gara al contrario sul sito della Johns Hopkins in cui le nazioni sembravano sfidare la Cina nel numero dei casi, per poi rendersi conto che quei dati, probabilmente, non sono molto aderenti alla realtà di un sorpasso troppo facile.
Ma abbiamo anche smesso perché questa indigestione di numeri provenienti da tutte le parti e con l’intento di portare alla sicurezza almeno dello stato della situazione, ci ha cominciato a portare esattamente all’opposto. Che numeri sono quelli in cui variano i metodi di rilevazione tra i vari stati o addirittura il modo in cui vengono relazionati? Numeri che restano veritieri, ognuno per il suo parametro, ma troviamo messi in confronti impropri e quindi discutibili. E i numeri non devono essere discutibili.
A un certo punto si sono accusati i media di fare troppo allarmismo e allora qualcuno, sbattendo i tacchi, ha cominciato a porre l’accento sui guariti cambiando i toni dei titoli sul giornale. Ma i numeri finali (quelli dei morti) erano sempre gli stessi, anzi peggio.
Quindi si è cominciato a non fidarsi più dei numeri, si finiva con l’interpretarli a seconda della necessità. Qualcuno ha detto che ai numeri, maltrattandoli abbastanza, si finisce col fargli dire quel che si vuole. L’evento coronavirus ne è stato la dimostrazione pratica. C’è chi dice che, alla fine, la mortalità del periodo è stata la stessa, magari non considerando che il coronavirus ha compensato i decessi dovuti a incidenti stradali che non ci sono stati proprio grazie al blocco totale o quasi (tema di cui non è mai troppo discutere).
Tolti di mezzo i numeri sono rimaste le opinioni e le voci di chi urlava più forte. Si riapre oppure no? Ognuno si è legittimato a dire qualsiasi cosa trovando (indovinate?) i numeri giusti a conforto. Ora è il momento di cavalcare la ripresa in tutto e per tutto e ci sta pure, non solo perché non ne possiamo più di stare rinchiusi, ma perché vediamo che lo stanno facendo altri paesi e probabilmente non moriranno più di noi. Anzi, non hanno avuto i morti nostri neanche prima. Che succede allora?
Abbiamo sbagliato tutto sin da subito fraintendendo il bersaglio? Forse. Più passa il tempo e più lo sapremo con precisione, ma ora dobbiamo confrontarci con la realtà. Si vuole riaprire? Bene, benissimo, era ora forse, ma non tanto per i numeri, che lasciano i dubbi di cui sopra, ma perché dovremmo saperne un po’ di più, anche dalle esperienze di altri Paesi che hanno reagito diversamente, ammesso che si stia andando davvero verso la fine.
E quest’idea di ripartenza, la cosiddetta fase 2, ma poi anche la 3 e la 4 che prendono di mira la bicicletta, dobbiamo dirlo, ci piace da matti.
E stanno cominciando a comporsi i pezzi di un puzzle che era tanto scontato quanto difficile da immaginare perché eravamo abituati male, dobbiamo ammetterlo.
La bicicletta, per le sue caratteristiche, può essere il mezzo perfetto per gli spostamenti e per lo sport. La sua natura solitaria ne fa lo strumento ideale per spostarsi in città ma anche fuori. Della città abbiamo detto in questo articolo.
I pezzi del puzzle che ci piacciono sono il dialogo tra il sindaco di Milano, Giuseppe Sala e Vittorio Colao, il manager cui viene affidata la strategia della ripresa, in cui la bicicletta era un argomento. Capite? Si è parlato di bicicletta per la ripresa e non nell’accezione sportiva. Quella, magari, arriverà subito dopo e ne siamo anche fiduciosi visto che lo stesso Colao è uno che pedala, fa le granfondo e pure le ciclostoriche, non è il dirigente che si fa la foto in bicicletta per farsi vedere moderno e poi risale in auto. Quanti ne abbiamo conosciuti così in passato? Lui poi si pedala tutti i chilometri che servono. Si vestirà in divisa da ciclista, ma ha certamente una cultura anche per il ciclista urbano.
Ecco, la bicicletta, dopo la moda, è vista come necessità. Un passo in avanti favoloso che porterà molti a pedalare con il di più dell’essere “fighi”. Perché ormai questa cosa della bellezza della bicicletta è acquisita.
Colao e Sala hanno parlato, pare, di incentivi per le e-bike, soluzione “smart”, cioè intelligente, per le città (comprese quelle con salite e sette colli, tanto per citarne una). Anche a Napoli si pensa alla bicicletta e non suona nemmeno incredibile. È almeno dal 2013 (quando partì il Giro d’Italia da qui) che ci sono sempre più soluzioni di mobilità ciclabile. A Napoli!
Sì, tutto bello, anche gli incentivi per le e-bike, ma permetteteci di aggiungere, se si vuole spingere davvero a una nuova mobilità, occorre anche spingere le biciclette “normali”, quelle senza pedalata assistita. E se si abbassasse l’iva per questi mezzi di necessità? Ecco, poi le ciclabili sì, ma quelle sarebbero la naturale conseguenza, non preoccupatevi. A un aumento dei ciclisti non potrà che corrispondere una necessità di infrastrutture che a quel punto non potranno essere solo dimostrative.
C’è un’altra affermazione interessante di cui tenere conto: “Eliminiamo gli orari di punta” ha detto il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, Brusaferro. E la politica dovrà tenerne conto nelle prossime decisioni. Così come ne dovranno tenere conto le amministrazioni locali: niente più “alle otto tutti in ufficio”? Qualche mese fa sarebbe sembrato impossibile. Oggi abbiamo esperienza di ben altre possibilità. Spalmiamo il traffico su tutta la giornata piuttosto, dopo averlo pure abbattuto con l’alternativa a due ruote. È un problema di trasporto pubblico e di traffico: vuoi vedere che dove non erano arrivate le belle parole arriva la necessità della tragedia?
I proclami fanno ben sperare ma poi vanno messi alla prova, ma il puzzle che si sta componendo ha pezzi inaspettati.
Quasi quasi iniziamo a crederci.
Guido P. Rubino
Complimenti per l’articolo
Ciclista con specialissima da corsa in carbonio, ho acquistato una gravel in alluminio con la quale vado in bici al lavoro, dalla periferia di Roma verso fuori. 14 km ad andare e 12.5 (i due percorsi sono leggermente differenti) a tornare. Lo facevo prima del blocco Covid, lo faccio ora. Ora è bellissimo, tute le medaglie hanno il loro rovescio.
E arrivo al lavoro senza inquinare, facendo del bene al mio corpo e, soprattutto, al mio cervello. Imbocco l’Appia Antica all’alba, un qualcosa di assolutamente meraviglioso! Dopo sono pronto a sopportare qualsiasi cosa succeda al lavoro.
La rabbia è il fatto che sul 90% del percorso (per un tratto coincidente con quello della granfondo di Roma), che corre lungo zone agricole o ex agricole, sarebbe veramente semplice ricavare una ciclabile. E invece nulla.
La rabbia è che almeno in un punto al ritorno devo veramente rischiare, sperando solo di non incappare in un automobilista particolarmente affrettato (diciamo così).
La rabbia è che tutto qauello che scrivete è bellissimo, ma passata l’emergenza tutto tornerà come prima!!!
Claudio