6 ott 2016 – Uno come Oleg Tinkoff non passa inosservato, sia quando fa che quando non fa. E quando parla ne ha sempre da dire che vale la pena ascoltarlo, anche se non si condivide tutto quello che dice. È comunque il punto di vista di uno che ha investito tantissimi soldi nel ciclismo negli ultimi cinque anni e a nome di una banca che, di fatto, non ha prodotti da vendere direttamente sul mercato dove si pubblicizza. Poi magari c’è l’indiretto, ma quello è un altro discorso.
La Tinkoff, la squadra da lui voluta e sostenuta come sponsor principale, chiude i battenti a fine anno e nono sono servite nemmeno le vittorie ripetute di Peter Sagan al Tour de France quando lo stesso Oleg disse “se ne vince tre, proseguo nel ciclismo”. Sagan quelle vittorie le ha portate a casa, Tinkov è restato comunque sulla sua decisione, nonostante la sparata che sapeva già della guasconata di un personaggio pittoresco.
Nell’intervista finale a Cyclingnews Tinkov ne ha dette tante dal suo punto di vista che, badate bene, non è solo quello del magnate che decide di giocare col ciclismo spendendo un (bel) po’ di soldi. È uno che di ciclismo è appassionato tant’è che, lui stesso ammette, l’investimento fatto non è tornato indietro (a quanto dice), ma non era nemmeno quello il suo obiettivo.
Tinkov parla del suo rapporto con i corridori, lo ricordiamo piuttosto seccato per le mancate vittorie di Sagan, poi lo slovacco ha saputo rispondere nel modo migliore. Ma soprattutto con Contador che Tinkov vede poco estroverso e lo giudica negativamente per la sua grande concentrazione sulle corse che lui dice essere anche il suo limite.
Ecco, a prescindere dai rapporti personali, qui c’è molto del carattere e dell’intendere il ciclismo. Contador è l’approccio antico al ciclismo. Uno che se punta a vincere il Tour de France inizia a mangiare con attenzione già a novembre e per Tinkov è eccessivo. A lui, come ad altri investitori, piace di più il personaggio che diventa idolo per il suo modo di fare, oltre che per le sue vittorie.
Poi ha parlato anche di business e di come vedrebbe il ciclismo mondiale in mano all’Aso piuttosto che all’Uci e in un sistema più remunerativo di tv a pagamento che rischierebbe, però, di far alzare tanto il livello da far diventare il ciclismo roba solo da squadre super potenti e schiacciando tutti gli altri, piccole corse comprese. Un assetto in cui vedremmo un po’ troppo il rischio di un “effetto Formula 1” al posto dell’Uci che, sulla carta almeno, dovrebbe essere più attenta alla storia.
È il punto di vista, insomma, di chi è ancora pronto ad investire altri soldi (oltre ai cinquanta milioni già spesi in questi anni), ma vuole pure il bottino grosso. E in un ciclismo un po’ in crisi non è detto che questa sia la soluzione migliore. La crisi, in fondo è più dei piccoli sponsor che non di quelli grandi. O no?
GR