21 set 2020 – Così giovane da indossare ancora la maglia bianca. Tadej Pogacar ha vinto il Tour de France nell’unico modo possibile quest’anno: all’ultimo. Avesse preso la maglia gialla una settimana prima sarebbe stato bersaglio di attacchi ovunque da parte degli avversari. E non avrebbe avuto una squadra a difenderlo. Per quanto fortissimo, è facile immaginare che avrebbe potuto cedere da qualche parte, anche solo per inesperienza. Come in quel ventaglio durante la prima settimana. Pensare che proprio quel ventaglio, alla fine, è stato la sua fortuna. Perché se Pogacar non avesse avuto quel minuto in più, sarebbe stato considerato diversamente.
Già col senno del poi si può dire tutto e allora ci lanciamo in alcune considerazioni ancora a caldo, quando si sente ancora l’eco di un Tour che si temeva non potesse nemmeno essere portato a termine.
1. Il crollo di Roglic? Non c’è stato
Partiamo dal padrone del Tour de France, almeno fino a sabato mattina. Si è parlato, scritto e cercato di analizzare il crollo di Primoz Roglic. A ben vedere si tratta di una considerazione errata: non è Roglic a essere crollato, è stato Pogacar a fare un numero stellare nella cronometro. Roglic ha preso distacchi ragionevoli da Dumoulin e Van Aert, tanto per rimanere in casa Jumbo Visma, poi nel finale della salita sì, si è disfatto cercando di difendere l’impossibile ormai. Pogacar ha dato un minuto e ventuno secondi a tutti: mostruoso.
2. Uae Emirates batte Jumbo Visma?
Guardando il risultato finale sì, in realtà non è stato così. La Jumbo ha dominato in lungo e in largo impressionando pure. Col senno del poi (certo: facile) possiamo dire che ha anche protetto Roglic nei momenti di difficoltà. E rileggendo tutte le tappe qualche momento di minore brillantezza del capitano Kumbo Visma c’è pure stato, ma c’era la squadra a fare il passo, a difendere senza nemmeno darlo a vedere. Una vera corazzata con corridori che avrebbero potuto anche puntare alla classifica, da Dumoulin a Van Aert. Sì, il primo forse è stato “buttato via” dalla generale troppo in fretta, il secondo chissà: è ancora tutto da scoprire e i limiti sembrano ancora lontani.
Per contro la UAE è stata una squadra andata al disastro. Però ha indossato la prima maglia gialla con Kristoff e l’ultima, quella che conta di più. Chi vince ha sempre ragione, diceva Hinault, questa volta non ne siamo così sicuri. Il “disastro Aru” testimonia che qualcosa nella squadra non funziona per niente, non solo Aru. Poi l’intoppo capita, ma per fortuna che c’era Pogacar pigliatutto.
3. Delusione Ineos Granadier
Era la squadra da battere ed ha salvato un po’ di Tour giusto con quel bell’arrivo a due di Kwiatkowski e Carapaz. Bello ma troppo poco per una squadra che si è permessa di lasciare a casa due vincitori del Tour (Froome e Thomas) puntando tutto su Egan Bernal che non era in gran forma ed è evaporato appena la strada è diventata dura davvero. Succede, certo, ma il rischio di puntare tutto su un corridore espone a rischi che una formazione del genere forse non può permettersi. Il ciclismo dovrà fare i conti anche con queste realtà.
4. La stagione del ciclismo
Due corridori giovanissimi hanno vinto gli ultimi due Tour de France. Pogacar compie oggi ventidue anni. Bernal, lo scorso anno, aveva gli stessi anni quando vinse a Parigi. Dietro di loro c’è una nuova bella generazione che scalpita (purtroppo con pochi italiani). Ora che succede?
Che ci aspettiamo delle conferme. I campioni è giusto celebrarli, ma occorre chiamarli tali quando si confermano nel tempo. Via i sospetti su cui pure qualcuno soffia in questi giorni (chi sa, parli. Altrimenti si resta a chiacchierare al bar). Non basta dire che “vanno troppo forte” per stendere ombre. Il ciclismo non ne ha bisogno e ne ha già pagato abbastanza. Non è questione di ipocrisia ma di realismo.
Da Pogacar (come anche da Bernal) ci aspettiamo conferme e costanza di rendimento. La differenza tra campioni e meteore è tutta lì. Il tempo è certamente a loro favore.
5. Sagan perduto?
Non riusciamo neanche a immaginare un Peter Sagan al tramonto. Non ora. In questa stagione asincrona immaginiamo più un problema di preparazione per l’ex campione del mondo. Poi ci sono gli altri che crescono e ci sta che non sia più il dominatore assoluto della maglia verde come una volta (pensate che nelle prima tappe in maglia verde Bennet veniva chiamato “Sagan” dai tifosi che non erano abituati a vedere altri con quella maglia). Insomma, per affetto, stima e forza del campione non diamo certo per finito uno come Peter Sagan. Lo ritroveremo bene. Magari già al Giro.
6. Covid-19
Il virus è stato a suo modo protagonista del Tour de France, dallo spostamento di data, al distanziamento, alle mascherine e, soprattutto, per i tamponi. Si temeva concretamente una fine anticipata del Tour de France e le prime 4 positività, anche se non di corridori, avevano fatto tremare la “bolla” del Tour. Al secondo giro di tamponi tutti negativi e via fino alla fine senza, evidentemente, voler nemmeno troppe preoccupazioni. Alla fine bene così, il Tour è così importante per il ciclismo che un suo stop avrebbe avuto conseguenze economiche disastrose, a cascata, su tutto il movimento. Ci auguriamo che gli stessi parametri vengano utilizzati anche per le prossime gare. Da notare che proprio nel giorno successivo alla fine del Tour de France, la Francia dichiari gran parte del territorio zona rossa. Una settimana fa sarebbe stato un disastro per la corsa.
Guido P. Rubino