Passano gli anni, passano i decenni, ma gli italiani non capiscono mai che in una corsa come il Mondiale se sei oltre alla 30esima posizione sei troppo indietro, fin dal chilometro zero. Questo perché al Mondiale si va per rappresentanza nazionale, e quindi ci sono nazioni che portano corridori che non sono all’altezza del gruppo juniores standard come lo immaginiamo noi, oppure anche atleti forti ma che gareggiano al massimo in competizioni di 30 persone nella loro nazione, e che quindi non sono abituati a stare in un gruppo serio. Il risultato è che nei primi chilometri può succedere di tutto. Questa è una cosa vecchia come il ciclismo stesso, eppure noi ancora corriamo con la mentalità che chi fa la corsa parte dietro e aspetta qualche chilometro prima di iniziare a fare sul serio. È una cosa radicata nella testa degli Italiani in qualsiasi categoria.
La nazione di riferimento è la Danimarca, che fin dai primi chilometri piazza due corridori davanti in fuga, di cui uno il favorito della gara. Ecco che differenza con il nostro modo di correre. Paura zero. Anche perché per venirti a prendere su un percorso così il gruppo fa una fatica bestia. Il “ripreso” da una fuga a Gasglow può ancora tranquillamente dire la sua.
Noi rimaniamo con due bravissimi corridori in gara, dei quali un Sierra che butta via la maglia iridata. Non il podio, come ha detto Petacchi, ma il titolo. Quando vedi due della stessa nazione davanti, con il più forte che tira, le probabilità che siano d’accordo per fare un buco sono il 100 per cento. Quando vedi questa cosa, scatti per primo, e forse così riesci a scollinare con il più forte. Ma Sierra non l’ha capito o comunque non ha avuto il coraggio di scattare per primo. Insegue, con un rapporto agile, bello, da Italiano che ancora una volta pensa al risparmio, alla parte di percorso che viene dopo a quello strappo durissimo. Ma dopo quello strappo c’è il niente: la lotta per il titolo finisce lì, e devi buttare giù due denti, alzarti in piedi e mordere il manubrio, perché lì finisce tutto. Sierra invece palesa ancora una volta la nostra mentalità italiana con una grande rimonta nel finale dopo la caduta di catena. Rimonta talmente forte che supera Storm e lo toglie da ruota in pianura. Segno che Sierra ne aveva ancora tante, troppe, sul rettilineo di arrivo.
Il commento Rai si dilunga ancora una volta sui passati off-road di Philipsen. Questa cosa di attribuire un passato di altre discipline a ogni costo sta diventando grottesca. Chiunque oggi usa almeno 2 tipologie di bici per allenarsi nelle varie fasi dell’anno, soprattutto al Nord dove fa freddo. E’ inutile attribuire a Philipsen una vittoria per fantomatiche qualità tecniche a uno che ha palesato di andare il doppio degli altri sui brevi strappi di Glasgow. Che si tratti di un percorso insidioso ok, ma per nulla tecnico, come dimostra il fatto che si piazza secondo il tedesco Fietzke, il quale non ha la minima idea di come impostare una curva ed esce spesso così largo che sembra giocare di sponda a biliardo con le transenne del percorso.
E ancora una volta viene detto che la Danimarca ottiene questi risultati grazie al campione famoso trainante. Sbagliato. Vingegaard è sulla cresta dell’onda da tre-quattro anni. Ma questi sono juniores, hanno 16-18 anni e quindi stanno gareggiando da almeno sei anni. E la Danimarca non ha solo un fenomeno, ha dietro uno squadrone: nell’ordine di arrivo sono 1°, 5° e 16°. Ancora una volta dico parole che saranno inascoltate: se volete far (ri)crescere il ciclismo italiano, dovete fare piste ciclabili, portare i bimbi a scuola in bici e andare al lavoro in bici. Se non si fa questo, nei prossimi anni il ciclismo sarà solo appannaggio delle nazioni del Nord, dove operano in questo modo dalla fine degli anni ‘90. Da noi sta venendo a mancare l’intera cultura della bici, e questo porterà a risultati sempre peggiori nel futuro.