Ci vogliono le ciclabili per fa aumentare il popolo della bicicletta, quello di persone “normali” che non fanno necessariamente ciclismo sportivo, ma si muovono a pedali per spostarsi in città, per le attività giornaliere, a cominciare dal lavoro. Se ne parlava tanti anni fa quando in Italia si iniziava a capire che l’aumento delle automobili, al di là di una questione economica complicata, diventava sempre più un problema pratico. Era la seconda metà degli anni Novanta, avevo da poco iniziato il mio lavoro al giornale e la risposta che ottenevo spesso dagli operatori del settore era più o meno questa: “facciamo aumentare i ciclisti in città, poi avremo una spinta dal basso cui anche le istituzioni più riottose non potranno più disinteressarsi e dovranno, quindi, fare qualcosa a favore della bicicletta”.
Tante biciclette in più
Mi dovevo accontentare di quella risposta che mi è tornata in mente da quando nelle nostre città c’è stato il boom a pedali. Sarà stato complice il covid, gli incentivi, ma anche l’aumento di automobili che ha reso davvero impraticabili le città a prezzo di attese infinite in coda o soltanto per cercare parcheggio, ma la situazione che stiamo vivendo è proprio quello, della “spinta dal basso”: abbiamo tantissime persone in bicicletta e non possiamo più ignorarle.
Quello che non si era immaginato era la dicotomia che si sarebbe creata tra utilizzatori di biciclette e di automobili. L’invasione silenziosa dei pedali ha creato fastidio, le biciclette che non pagano bollo e assicurazione sono diventate un elemento abusivo sulle nostre strade. Il sentire comune le ha dedicate esclusivamente alle automobili al punto di non percepire più il disagio di un’auto in doppia file che riduce la carreggiata, ma di ritenere insopportabile un monopattino parcheggiato male su un marciapiede. Fateci caso: le prime non saltano all’occhio come i secondi, il resto è conseguenza.
Automobilisti e ciclisti, il confronto si è ridotto a due tifoserie che spesso hanno gli stessi interpreti ma con dinamiche di esasperazione da stadio prontamente cavalcate dalla politica che, tanto per restare in tema, si abbassa a livello strada invece di elevarsi.
Il punto di non ritorno: i morti in bicicletta
Ma forse si è arrivati davvero a un punto di non ritorno: quello in cui ci si è resi conto che qualcosa va fatto assolutamente. La situazione attuale è insostenibile per numero di incidenti gravi e tragici che capitano nelle città e fuori a un ritmo che vieta qualsiasi procrastinazione.
Per questo ho accolto con piacere l’invito, a Milano, di Rudy Project, produttore di caschi e occhiali, che ha organizzato un incontro presso Pain Cave, una palestra tecnologica dedicata al ciclismo e dotata di Neo Bike Smart, i simulatori di Tacx che permettono di effettuare allenamenti indoor con un realismo senza precedenti. “Un modo di pedalare sicuro” ci scherzava su qualcuno prima dell’incontro.
Rudy Project aveva invitato all’incontro Sonny Colbrelli, l’ex campione fermato da un problema cardiaco ha riportato la sua esperienza da ciclista esperto, attento e a rischio, come tutti, per le troppe distrazioni di chi guida i veicoli a motore.
Il dibattito
Insieme all’amico Massimo Perozzo, responsabile della comunicazione di Rudy Project, a Sonny Colbrelli e ad Alberto Giannini, il padrone di casa, c’erano degli invitati importanti per ruolo e parti: Geronimo La Russa, Presidente di Aci Milano, Maira Cacucci, Consigliere Regionale, Riccardo Truppo, Consigliere Comunale e Federico Balconi, fondatore di Zerosbatti, un’associazione che si prende cura di seguire i ciclisti vittime di sinistri stradali. A tenere le fila del discorso Fabio D’Annunzio, giornalista e triatleta nel ruolo più difficile che pure gli è congeniale: col microfono in mano.
Poi c’eravamo noi, seduti dall’altra parte del banco ad ascoltare idee e proposte che hanno preso subito una piega curiosa.
Eravamo a parlare di sicurezza per i ciclisti ascoltando i peccati dei ciclisti. Con anche proposte interessanti, chiariamolo: buona l’idea dell’educazione stradale da bambini, interessante la riflessione chel’aumento dei ciclisti urbani ha messo in sella troppe persone senza patente e quindi potenzialmente pericolose su strada. Soprattutto vera la necessità di fare cultura: partendo dal Codice della Strada che dice esattamente come le strade siano diritto di automobili e biciclette insieme, ove non espressamente vietato: quindi la maggioranza di strada urbane ed extraurbane.
Più perplesso sono rimasto nell’ascoltare come Milano (l’esempio di riferimento, vista la sede del convegno e i ruoli coinvolti) non sia vista come una città per biciclette, con strade non adatte anche perché riferite a uffici, persone che lavorano e che per tanti motivi hanno necessità dell’auto.
Mi venivano in mente Londra, Parigi, Amsterdam. Va be’, facile l’Olanda, è tutta pianura. E le strade extraurbane hanno tutte la ciclabile affianco (o forse no?) in corsia dedicata, come in Germania.
Pure Milano però, mica come quegli sfortunati di Roma, Napoli, Genova… con tutte quelle salite. Ho iniziato a non capirci più niente. Ma non erano le auto a mettere in pericolo i ciclisti? Non sono in maggioranza i pedalatori solitari a rimanere vittime di incidenti.
Il richiamo proprio dell’avvocato Balconi ha riportato il timone in linea: nella sua piccola statistica (i casi di cui si occupa il suo studio) il ciclista a contatto con le auto ci finisce per colpa quasi esclusivamente dell’automobilista. Inutile dire, poi, chi tra i due si faccia più male in caso di incidente.
Però sì, anche i ciclisti devono rispettare le regole come tutti. E magari subire anche qualche multa quando si comportano male ché la bici non è un lasciapassare rispetto alla legge, ma difficile immaginare un bilanciamento delle multe per il Comune: se ci sono 250 milioni di euro pagati dagli automobilisti milanesi e zero dai ciclisti è certamente segno di minore attenzione di chi dovrebbe fare le multe, ma anche preoccupante evidenza che il Codice della Strada, anche con la patente, non è forse così conosciuto.
Insomma, un bel dibattito potenzialmente. Perché finiti gli interventi del panel dei relatori il tempo volgeva al termine e il presidente di Aci Milano, La Russa e la Consigliera Cacucci sono stati presi da altri impegni lasciando solo il Consigliere Truppo a difendere la propria parte politica e a ribattere all’avvocato Balconi, ai giornalisti e ai presenti rispetto a un punto di vista che è sembrato difendere più lo status quo a quattro ruote migliorare quello delle biciclette.
L’annuncio che però ha messo tutti d’accordo è stato quello di Sonny Colbrelli che, col supporto di Rudy Project e Pain Cave, si è offerto di fare da testimonial per una campagna di sensibilizzazione sulla materia.
Un passo avanti importante proprio per quanto riguarda la base di tutto: la cultura e la visione di Milano che si debba allineare alle infrastrutture di una città internazionale.