18 lug 2018 – Oggi è il compleanno del grande Gino Bartali, se l’è ricordato persino Google, che gli dedica il “doodle”, cioè la grafica del giorno, in home page. Sono 104 anni: tanti cari auguri!
Qualcuno starà pensando: “…ma Bartali è morto!”. Sbagliato: quelli come Bartali non muoiono mai. Semplicemente, si trasferiscono in un’altra dimensione: quella del mito. E lì continuano a vivere, come se avessero semplicemente cambiato casa e indirizzo postale. Gli potete spedire un messaggio, se vi va. Oggi ne riceverà tanti, gli faranno sicuramente piacere sul piano umano, ma forse si annoierà un po’: è da sempre una persona intelligente e riservata, Bartali, e la celebrazione banale del passato, tramite aneddoti, dopo un po’ stanca chiunque abbia uno spirito vivo come il suo.
Se gli scrivete, quindi, non parlategli di ciò che è stato. Chiedetegli del futuro, che sicuramente gli interessa di più.
Le domande giuste da fare a Bartali ve le suggerisco io: cosa pensi, Gino, della tappa odierna di soli 108 chilometri, da Albertville a La Rosière? Come valuti la frazione in programma il 25 luglio, che partirà da Bagnères-de-Luchon per concludersi dopo soli 65 chilometri? Ha senso proporre tappe così brevi, con un concentrato di salite asfissianti, per agevolare lo spettacolo?
In attesa che dalla dimensione del mito, dove Bartali risiede, vi arrivi una lettera di risposta (ché Gino ne ha sempre scritte tante di lettere, mentre delle e-mail non sa che farsene, come giustamente capita alle persone un po’ anziane), proverò io a dire qualcosa, alla luce di quanto si è visto oggi. Perché si è visto di tutto, soprattutto dal punto di vista strategico e tattico.
Si parte da Albertville, in Savoia, dove si svolsero le Olimpiadi invernali del 1992, e si corre lungo un tracciato che ha il profilo di una tagliola, dal punto di vista altimetrico. Solo salite e discese. Nemmeno un metro di pianura. Quattro sono i GPM da scalare: i primi due sono Hors Catégorie: Montée de Bisanne (1723 m) e Col du Pré (1748 m). Poi un “seconda categoria” e, infine, si chiude con uno di prima, che coincide col traguardo di La Rosière, a 1855 metri sul livello del mare.
Dopo le schermaglie iniziali e il solito traguardo volante per la maglia verde conquistato da Sagan, si compone una fuga di 20 corridori. Tra questi c’è Alaphilippe che, non appagato dalla vittoria di ieri, scollina per primo sul Bisanne, incollandosi al petto la maglia della Pimpa.
Dietro, il gruppo ha 6 minuti di distacco. Il team SKY imprime il solito ritmo ipnotizzante e già si avverte nell’aria il rischio di un’ennesima giornata di “greggismo”, termine usato dagli appassionati di ciclismo quando, nelle tappe impegnative, il gruppo sembra non avere la volontà o la capacità di sfuggire a un copione noto, atteso e puntualmente messo in atto dalla squadra più forte.
Si scende a valle e subito si inizia a salire verso il Col du Pré. Lì lo scenario cambia radicalmente. La Movistar soppianta il team SKY, in testa al gruppo, e crea le condizioni ideali per la prima grande mossa strategica di giornata: l’attacco di Alejandro Valverde, quando mancano 5 km dalla vetta. L’obiettivo sembra essere subito chiaro: staccare Geraint Thomas di quel tanto che basta a prendere la maglia gialla in una giornata in cui Van Avermaet, colui che la indossa, è inesorabilmente destinato ad abdicare. Insomma: una sfida tra il secondo e il terzo della classifica generale, con relative squadre a supporto.
La progressione di Valverde è impressionante, sembra un’aspirapolvere a reazione: procede risucchiando i tanti fuggitivi che, nel frattempo, hanno perso contatto con la testa della corsa. Anche Alaphilippe risente delle fatiche di ieri e inizia progressivamente a rientrare nei ranghi.
Chi tra i fuggitivi ne avrebbe ancora, ma sa di dover svolgere un ruolo strategico, è Marc Soler: rallenta, aspetta il suo “capitano” di giornata Valverde, e poi riparte a razzo, tirandosi dietro il più titolato compagno di squadra. È uno spettacolo vederli in azione. Vanno come il demonio, ammesso che il demonio possa scegliere la bici come mezzo di trasporto: di solito viaggia in auto.
La corsa è diventata così concitata da aver soffocato, a lungo, il talento paesaggistico degli operatori della regia francese. Si ricordano di essere i migliori al mondo quando la lunga processione della fuga, ormai sfilacciata, transita sulla Barrage de Roselend, la gigantesca diga che ha dato origine all’omonimo lago. Uno spettacolo incredibile, enfatizzato da alcune riprese ravvicinate del massiccio del Monte Bianco, innevato, che è proprio lì, sullo sfondo.
Si arriva sulla terza salita di giornata, la Cormet de Resolend e si intuisce che, probabilmente, c’era un’altra strategia in atto, ma sta naufragando. Izagirre, uomo in fuga per la Bahrain-Merida di Nibali, ha problemi. Forse crampi. In ogni caso non potrà essere un fattore. Pessimo affare. Nibali mette a tirare l’eterno ed elegante Pellizzotti, poi arriva anche Pozzovivo. Guidano il gruppo fino al GPM e, a quel punto, ti aspetti l’unica mossa tattica possibile: un attacco di Nibali durante i 19 km di discesa. Discesa vera, tecnica, soprattutto nel secondo tratto. Il suo terreno preferito. Invece, niente.
In discesa, però, attacca Tom Dumoulin. Prima con un compagno di squadra, poi da solo. Nel mirino ha Alejandro Valverde, che è ancora alla rincorsa degli ultimi fuggitivi. Sta perdendo smalto, come è normale che sia, dopo l’immane sforzo fatto. I due si riuniscono ai piedi dell’ultima ascesa di giornata, quando mancano 14 km al traguardo. Procedono insieme, poi Valverde progressivamente si spegne. Sulla salita che porta a La Rosière, la fuga si risolve con il tentativo di Nieve: se ne va e sembra la mossa vincente. Lo insegue Dumoulin. Ma, dietro, il gruppo (quel poco che ne rimane) sta guadagnando terreno. Il team SKY fa l’andatura, come sempre, ma questa volta non è per ipnotizzare la corsa. È per vincere. La fatica si fa sentire e anche loro si sfaldano. Sembra il momento tanto atteso, da tanti, per tanto tempo. Attaccare presto e sconvolgere la corsa può metterli davvero in difficolta: questa può essere la grande lezione strategica di una tappa stranamente corta come quella odierna.
Invece no. Puoi cambiare i fattori, ma il risultato non cambia. Geraint Thomas detto “G” e Chris Froome forse pasticciano, forse non s’intendono, forse non sanno nemmeno loro chi sia il capitano, chi debba tirare per l’altro. Alla fine parte G, si riporta su Dumoulin e si beve Nieve: vince la tappa e prende la maglia gialla. Alle sue spalle arrivano Dumoulin e Froome.
Nibali, Bardet e Quintana accusano un minuto di ritardo.
In casa ASO stasera si festeggia, giustamente: la tappa “corta” ha prodotto lo spettacolo che volevano. Che volevamo. Resta da capire se possa davvero essere un nuovo format di successo, o se quanto visto oggi non sia solo l’esito di un’occasionale combinazione di fattori ed errori sul piano strategico e tattico.
L’unica verità inesorabile è che, per ora, vince comunque la squadra più forte. Gli altri pagano dazio e, forse, stasera rimpiangeranno un mancato tranquillo pomeriggio di “greggismo”. Forse era meglio non smuovere le acque, in questa tappa.
Pensando ad alcune squadre, ad alcune scelte, sarebbe facile citare il grande Bartali e la sua celebre esclamazione: «l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!». Ma sarebbe anche banale.
E lui non me lo perdonerebbe.
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)