Avrei mai voluto fare la professionista? Al di là dei meriti sportivi necessari, la domanda te la poni quando vedi queste ragazze impegnate a tutta, a soffrire. Forse no, meglio la bicicletta, pure tanta, ma lenta, fatta per diletto e poi per scriverne. Attenta ai dintorni, paesaggistici e umani, e ai contorni, di colori e umori. Sensazioni, incontri. Cibi e aromi.
Gare, mai, sono altro e per forza di cose devono lasciare da parte tutto quel che fino ad ora sono stata abituata a raccontare.
E invece eccomi qui, a seguire (potrei dire inseguire ma non credo le prenderei) il Giro delle Donne, da dentro! Scopro con sorpresa di essere emozionata.
Incontro la “mia squadra”, la Servetto-Makhymo-Beltrami_Tsa all’ora di cena.
Erano sei, sono rimaste in tre – nel ciclismo si cade, ci si fa male – dice Dario Rossino, DS della squadra.
Restano Maryna, ucraina, Milagro costaricana e Sofia, di Parma, che era qui con la sorella Isotta che in un brutto incidente si è rotta la clavicola. Sono giovani, sembrano stanche, o forse sono molto concentrate.
Il commento più frequente è ovviamente sul caldo. Doveva farne davvero tanto oggi su quelle salite senz’aria, senza ombra. Il percorso è più o meno quello della Nove Colli, che lì fa caldo anche a Maggio.
Sfoggiano contrasti cromatici intensi e definiti come tatuaggi: parti di corpo bianche come il latte e altre che hanno il colore della fatica che hanno affrontato, scure, quasi nere.
Parlano poco, mangiano tanto. Tanto ma sano, rispetto agli amatori e ai cicloturisti, enormi quantità di verdura, cruda o bollita e poi carboidrati integrali, e proteine nobili. Penso che tra i professionisti si chiamino anche diversamente. Loro dicono liquidi, noi diciamo birra. O pasta, arrosto, patate. Vabbè.
Andiamo a letto presto che tra poco è già gara, di nuovo. Stage 5.
5 lug 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside