4 mar 2017 – C’è crisi alle corse europee? Pare di sì, soprattutto economica (la crisi sempre lì va a sbattere). In Belgio stanno valutando la possibilità di far pagare il biglietto per vedere le corse. In parte avviene già (certi punti delle classiche sono a pagamento), ma ora si ragiona su qualcosa di più esteso.
Non è una novità assoluta. Spesso anche ai Mondiali si è ragionato su questo. Anche al mondiale di Varese si era pensato di far pagare un ingresso per poter vedere i passaggi dei corridori nei tratti in salita più significativi, poi non se ne fece più niente. E meno male.
In Belgio forse ci sarebbe qualche possibilità, ma in Italia la cosa non funzionerebbe con molta probabilità. Avete presente quanta gente va a seguire mediamente le corse? Quanti di questi sarebbero disposti a pagare solo per vedere i corridori? Certo, pagando magari si avrebbe una posizione migliore all’arrivo. Ma il rischio, forte, è di trovarsi con poche persone e arrivi poveri come certe corse nei paesi arabi (ma lì c’è carenza di pubblico, non di soldi). L’immagine di una corsa senza pubblico è la cosa peggiore che un organizzatore vorrebbe augurarsi, col rischio, poi, di perdere ancora più sponsor, quindi soldi.
In Belgio c’è una passione più radicata (ad entrare per caso in un pub rischiate di trovare gli avventori che guardano il nastro dell’ultima Roubaix di Boonen, per capirci) e magari più gente disposta a pagare, basta vedere quante migliaia di persone pagano regolarmente il biglietto per vedere il campionato nazionale di Ciclocross (che, in effetti, vale un mondiale) per ragionare che la cosa potrebbe essere.
Però ci sarebbe anche una questione culturale. Il ciclismo, per definizione, è lo sport di tutti. Quello che va a casa delle persone che scendono in strada ad applaudire i corridori. Ecco, il biglietto proprio no. I tifosi si sentirebbero traditi e si lascerebbero fuori tutti quegli spettatori casuali che si godono volentieri un evento ma se devono pagare andrebbero altrove.
Le strade per dare linfa vitale alle corse sono altre. Probabilmente ci dovrebbe essere un intervento delle stesse federazioni a tutela del proprio patrimonio di gare rispetto al calendario internazionale. Se andare a correre lontano dall’Europa diventare una bella promozione del ciclismo (ma dovrebbe esserci del pubblico ricettivo), è inevitabile che si tolga spessore a corse anche storiche. Andare a cercare paesaggi nuovi certo non aiuta in questo. Per contro le corse storiche hanno margine di evoluzione in una comunicazione mirata e legata al territorio che valorizzano (non solo chiedendo soldi alle amministrazioni locali). Proprio l’Abu Dhabi Tour è stato un buon esempio di ottima comunicazione che ha saputo sfruttare gli aspetti paesaggistici e folcloristici di una corsa in mezzo al deserto e con pubblico esiguo (anche nella spettacolare cornice finale dell’autodromo, diluvio compreso).
Ma il gusto di scendere in strada e veder passare i campioni da vicino, oppure vederli sorridere e firmare autografi ai ragazzini prima del via e dopo l’arrivo è una cosa che non si deve far pagare. Il ciclismo non lo merita.
GR