5 dic 2016 – Un cicloamatore tra i professionisti? La cosa non stupisce e, in sé, non è una notizia negativa come qualcuno ha scritto senza pensarci troppo. Un’intervista pubblicata sulla Gazzetta dello Sport ha lanciato la notizia e alimentato le chiacchiere e magari pure qualche invidia.
Tanto più che il corridore in questione è tal Stefano Cecchini, molto forte tra gli amatori e, a quanto pare con qualche possibilità pure tra i pro’. Se non altro per la curiosità di vedere cosa possa fare un amatore nel ciclismo vero, curiosità di molti e aspirazione inconfessata di parecchi imitatori del professionismo.
Stefano Cecchini, nell’intervista a Claudio Ghisalberti, confessa che, tutto sommato, per lui non cambierebbe tanto l’impegno da profondere negli allenamenti. Per distanze e tempistiche dedicate alla bicicletta, in effetti, non è poi così lontano da un professionista medio. Anche con il chilometraggio annuale siamo lì.
La parte curiosa della notizia, caso mai, è che Stefano Cecchini ha 38 anni, quindi, più che un giovane da scoprire, è un ciclista che si vuole togliere la soddisfazione di “averlo fatto”, anche qui non si può fargliene una colpa. Altra parte curiosa è che Stefano Cecchini è figlio di Luigi Cecchini, persona piuttosto conosciuta nell’ambiente e chiacchierata per una presunta vicinanza all’Operacion Puerto e al famigerato dottor Fuentes. Al di là delle accuse, mai provate e da cui Luigi Cecchini è sempre uscito pulito (ma si sa, nel ciclismo – e non solo – bastano le chiacchiere a fare curriculum negativi), è che uno dei freni all’interesse del professionismo verso Stefano Cecchini sia proprio il padre. E i risultati? Ci sono le granfondo vinte e una cilindrata che sembra essere quella giusta, magari non quella di un campione, ma comunque sufficiente.
Dopo l’intervista della Gazzetta, il team Nippo Vini Fantini, chiamato in causa, ha mandato un comunicato stampa che vuole chiarire alcune cose. Ve lo riportiamo fedelmente:
Quest’oggi, 5 dicembre 2016, a firma di Claudio Ghisalberti è apparso un articolo su “La Gazzetta dello Sport” inerente la volontà di Stefano Cecchini, ciclo-amatore in attività e figlio di un noto preparatore atletico e medico che ha operato per anni nel ciclismo professionistico, di diventare un ciclista professionista. Nell’articolo, viene citato quanto segue: “Francesco Pelosi, il team manager della Nippo-Vini Fantini, s’è tirato indietro temendo che una scelta del genere gli costasse l’invito al Giro”.
A riguardo di quanto dichiarato, Francesco Pelosi, General Manager della NIPPO Vini Fantini chiarisce quanto realmente successo: “Sono stato contattato da un procuratore e mi hanno invitato ad una cena con Stefano Cecchini. Per mia filosofia cerco sempre, compatibilmente con il tempo a disposizione, di incontrare e ascoltare tutti. Alla cena Stefano mi ha illustrato la sua idea: diventare un ciclista professionista. Nella stessa cena ho spiegato a Stefano quanto sarebbe stato impossibile con noi. Il nostro team ha una chiara identità, con un progetto strutturato sulla crescita dei migliori talenti Italiani e Giapponesi guidati da corridori di esperienza e classe, con un piano di crescita annuale fino alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Il nostro team ha quindi già scelto come crescere e con chi e non ha spazi per distrarsi da questa importante missione. In questo progetto, non sarebbe dunque mai potuta rientrare una “scommessa” del genere. Non sono state citate corse o altre motivazioni collaterali, perché non del caso: non c’erano proprio gli argomenti per approfondire o valutare un suo eventuale inserimento. Dispiace dunque constatare come Stefano Cecchini abbia sintetizzato in intervista il nostro diniego, da cui prendiamo le distanze in quanto sintesi non veritiera e scorretta, che ci costringe a questa nota di smentita dopo aver provocato inutili imbarazzi”.
Insomma, tutto chiaro e tutto a posto. Resta la curiosità del perché un team professionistico debba prendersi carico di un corridore di 38 anni al posto di altri, già collaudati, che stanno rimanendo a piedi, o magari anche di giovani che potrebbero passare professionisti. O c’è qualche convenienza? Poi resterà pure il rammarico per un ciclista che si scopre forte a 38 anni, figlio di chi aveva i mezzi per scoprirne la buona cilindrata a 20 con possibilità fisiologicamente migliori. Un’occasione buttata?
Tutto sommato è probabilmente meglio pensare ad altro.
GR