Nonostante continui a sfornare ottimi corridori, e pure a vincere belle corse il ciclismo italiano è in crisi, soprattutto economica. La fine della Lampre, almeno come squadra italiana, ci mette a confronto con una realtà che non si può più ignorare e che, a dire il vero, non doveva essere ignorata neanche prima.
Da una parte ci sono gli orizzonti che si allargano e nuove corse che arrivano nel panorama internazionale togliendo, inevitabilmente, attenzioni a molte corse italiane, pur tradizionali e ricche di storia. Dall’altra le squadre ciclistiche che costano sempre di più (anche e non solo, per affrontare una stagione di gare così impegnativa).
Il risultato è che se prima si riusciva a sponsorizzare una squadra dignitosa, un’azienda di medio fatturato, ora non riesce più. Oppure si dedica a formazioni che, a ben vedere, le danno poca visibilità perché impegnate nelle gare al di fuori del World Tour e quindi con rari collegamenti televisivi, ancor più rare dirette e quindi pochi riscontri. Una formazione World Tour ormai richiede diversi milioni di euro di sponsorizzazione.
Diminuiscono, anzi spariscono, le squadre italiane e i corridori italiani, di conseguenza, fanno fatica a trovare i contratti. Anche buoni corridori. In questi giorni si parla di Davide Malacarne, gregario di Nibali e Aru e ora rimasto a piedi nonostante qualche promessa. Si dirà: è sempre andata così e il ciclismo ha chiesto sempre il tributo di corridori pur buoni per fare spazio a nuove leve su cui scommettere.
Però c’è anche crisi di gare. Tranne poche eccezioni il calendario italiano si impoverisce sempre di più e corse tradizionali fanno fatica ad andare avanti e quando ci riescono difficilmente hanno al via corridori di richiamo internazionale. Nel ciclismo che si diluisce, purtroppo, è la periferia a rimanere annacquata e certo, da italiani, sentirci periferia del ciclismo fa male. È o non è qui la radice storica di questo sport?
In Francia la lega ciclistica si è scagliata direttamente contro l’UCI proprio per l’allargamento delle gare che va a sacrificare il calendario francese. In Italia, per ora, si contano le “vittime” di questo allargamento, ma i bravi organizzatori, pur con la bravura e la volontà che li ha sempre contraddistinti, non hanno molte speranze senza un appoggio dall’alto. E con loro finiscono le squadre, i corridori…
GR