16 ott 2016 – Ha battuto due campioni del mondo. Due che vincevano e vincono le volate di gruppo, lui che è pure velocista ma certo nelle volate di gruppo lo si darebbe per battuto. E invece è Sagan in maglia iridata a dire che, attenzione, quando c’è odore d’arrivo, magari importante, non sbaglia più. Lontano secoli da quel Sagan che faceva tutti quei secondi posti da far storcere la bocca pure allo schizzinoso Mr. Tinkov. Ormai fa parte del passato anche lui.
Tante ipotesi nell’avvicinamento di questo mondiale così piatto da fare ancora più paura. E se diventa una lotteria e vince uno che poi non si vede più?
Per fortuna non è andata così. Ci si è messo il vento a fare da salita dove la terra è inesorabilmente piatta. Nel tratto iniziale – 150 chilometri di deserto – si è fatta la corsa più che all’arrivo. Tattica e forza si sono dovute spendere per restare davanti e nella rete sono caduti i grandi che hanno capito di non aver studiato a sufficienza per l’esame importante. La squadra tedesca, super favorita, con Kittel e Greipel e quella francese di Bouhanni, sono rimaste dietro quando davanti sono cominciati a volare gli schiaffi fanno male. Se c’è da combattere col vento viene fuori l’esperienza e i Belgi, forti di un Tom Boonen con la gamba giusta, hanno fatto la differenza. Anche gli Inglesi hanno acceso la miccia e sono stati bravi, anzi bravissimi, gli Italiani a non perdere il treno giusto. La corsa è finita ancora prima di entrare nel circuito finale, almeno per quelli dietro.
Davanti invece si sono cominciati a fare i conti. Chi c’è nella fuga che poi è la selezione dei migliori? Da Kristoff a Sagan, da Cavendish a Viviani, poi i Belgi. A dirla così sembra una corsa scoppiettante e vivace, bisogna pensare a una storia diluita in 257 chilometri fatti di deserto e strade deserte. All’ultimo appello dei ciclisti in cerca di tifo forse i più numerosi sono stati proprio gli Slovacchi. D’altra parte se vai a tifare Sagan non fai mai un viaggio a vuoto, comunque ti diverti.
Nel finale ha messo d’accordo tutti e si è detto pure fortunato che Nizzolo non l’abbia stretto sulle transenne. In effetti ci sarebbe voluto pochissimo: già lo spazio a disposizione era così esiguo che sarebbe bastato un accenno di sbandata per chiudere la porta inesorabilmente. Modesto pure Sagan. Forse non si è reso conto di come sia esplosa la sua potenza al momento dell’accelerazione. Ha dimostrato di avere una, due marce in più. Quando c’è fatica da spendere restano a giocarsela i campioni che hanno motore e serbatoio più degli altri e a quel punto non serve neanche la squadra. Però è importante che il percorso riesca a far emergere i campioni e, alla fine, questo percorso pure insulso, c’è riuscito anche se per motivi climatici, non certo di qualità tecnica.
Si torna almeno con questa consolazione.
Gli Azzurri non hanno nemmeno da recriminare. In una classifica di merito l’ordine d’arrivo è giusto. Da tifosi ci sarebbe piaciuto vedere Nizzolo almeno sul podio, ma di fronte a quei mostri sacri c’è solo che da togliersi il cappello. Bravissimo Tom Boonen ad essere lì nella condizione giusta, forse non ci sperava nemmeno lui. Ma è pur sempre Tom Boonen. Bravo Cavendish anche se, rivedendo la volata, forse non prenderà subito sonno stanotte. Nizzolo può tornare a casa siddisfatto e anche Davide Cassani. La sua nazionale ha funzionato come doveva. Il resto lo hanno fatto le gambe dei corridori e lì c’è poco da recriminare.
Che poi, quando vince uno come Sagan, sono contenti tutti. È un campione e lo merita. Come meritò pure il Mondiale dell’anno scorso, vinto di forza e bravura pure lì (sì, uno che va in bici in quel modo riesce sempre a risparmiare qualcosa in più degli altri). E poi l’immagine più bella è forse quella meno sottolineata. Ve la proponiamo noi, qui sotto.
Cavendish e Boonen, battuti e con un gesto di stizza, sono stati i primi ad affiancare Sagan e a stringergli la mano. Il ciclismo, oggi, ha guadagnato dei punti, anche a dispetto di quel posto infelice per un Mondiale che il ciclismo non merita, nemmeno ad espiazione delle sue colpe.
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Guido P. Rubino