E pensare che era stato presentato come un mondiale per velocisti. Roba da rammaricarsi di non aver portato quelli impegnati sulla pista in una coincidenza un po’ scellerata e certamente da rivedere. Evidentemente ci si era già organizzati diversamente.
Per non portare all’arrivo i velocisti si è scelta la modalità videogame.
E se non fossimo stati sicuri che il Mondiale di ciclismo su strada si sia corso davvero a Glasgow il 6 agosto, penseremmo a un mondo virtuale in cui un giocatore compulsivo si sia sfinito muovendo il joyistick a ritmo infernale.
È stata interpretata proprio così, la corsa, dai ragazzini terribili del ciclismo mondiale. Tutti lì, in bella fila, nell’ordine di arrivo finale.
E l’hanno interpretata proprio da videogame questa corsa piena anche di eventi incredibili, come lo stop forzato di 50 minuti per una protesta (ambientale!) che suona come un controsenso se danneggi una cosa che promuove le bici. E poi la menata pazzesca dei danesi nell’ingresso del circuito finale di Glasgow, con curve, saliscendi, pioggia improvvisa, strappi e le transenne coi piedini a preparare sorprese. Una bomba lanciata nella tattica di tutti per vedere l’effetto che fa. E di effetto ne ha fatto eccome, assottigliando il gruppo e filtrando i migliori.
Ready Player One?
Bettiol c’era e ci ha provato, con l’altra punta azzurra Matteo Trentin che però ha pescato il nemico sbagliato e si è ritrovato su una transenna che lo ha capovolto e sbattuto a terra.
Bettiol ha giocato la sua nel modo migliore, con forza e fortuna, come succede ai campioni. Nel momento in cui ha provato a lasciare la compagnia dei fenomeni che si facevano dispetti di tutti i tipi (in curva, in salita, in discesa) ha iniziato anche a piovere. E nel giro di curve strette è stato un attimo scomparire alla vista. Come una corsa di amatori, come una gara di dilettanti nervosa. Bettiol si è nascosto agli occhi di tutti, curva dopo curva, facendo il pelo a transenne pubblico guadagnando secondo su secondo, con i mostri dietro.
E mettetevi voi a scappare con dietro un quartetto come Van Aert, Van der Poel, Pedersen e Pogacar.
Dietro, Evenepoel si è sfinito come un uccellino in una stanza che non trova la finestra della libertà.
E così, tra perdere le ruote e scattare furiosamente, si è trovato sfiniti più di testa, forse, che di gambe.
Cinquantacinque chilometri da gestire come tre fughe al Giro delle Fiandre che ha vinto. Troppo? Forse sì anche per un morale alto come quello di Bettiol che guadagnava con la pioggia e perdeva col sole. Nel conto finale, allora, c’è stato troppo sole. E quando Van der Poel ha fatto lo scatto che ha preparato per tutto un Tour de France e meditato da quella notte australiana lo ha risucchiato inesorabilmente sprofondandolo dietro a tutti. Sarà decimo sul traguardo.
È andato forte, Van der Poel, fortissimo e sfidando le leggi della fisica. E si sa che non si può vincere sempre. All’ennesima curva violenta Mathieu ha perso la ruota anteriore, ha provato a controllare pure da funambolo qual è, ma niente da fare, per lui asfalto, transenne, e una scarpa rotta.
Problema grave? Non per Van der Poel che si è rimesso in sella ed è ripartito come prima, con una scarpa mal chiusa da cui ha strappato il sistema di chiusura che non teneva più. E ha ricominciato a guadagnare secondi su secondi, fino a sfinire gli inseguitori e sostituire, finalmente, la maglia strappata con quella nuova, asciutta e iridata.
Secondo, manco a dirlo, Van Aert. Poi un incredibile Pogacar che ha battuto Pedersen.
Cosa chiedere di più da un Mondiale così?
D’altra parte con questi ragazzi formidabili era quasi prevedibile che la facessero in maniera così imprevedibile.