22 apr 2019 – Alla fine continua a tornarmi in mente un parallelismo. Quello tra due corridori che oggi erano distanti in classifica, sul traguardo, ma un po’ meno nei risultati e nella caratteristiche.
Giusto due settimane fa avevamo paragonato Mathieu Van Der Poel a Peter Sagan.
Si badi, il nostro paragone veniva solo da una constatazione tecnica. Nessuna pretesa di accostare due palmarés così diversi. E difatti qualcuno, commentando solo il titolo (e ci viene sempre il dubbio che avremmo potuto farlo meglio) suggeriva prudenza in un paragone così azzardato.
Troppo deve pedalare Van Der Poel per meritare un accostamento al tre volte campione del mondo consecutive e vincitore di classiche e maglie di quasi ogni tipo. Vero.
A dire il vero, sottolineiamo, il nostro paragone era solamente tecnico in quel caso. Si parlava, e ci eravamo supportati anche con una video raccolta di alcune azioni di Van Der Poel, della tecnica di guida, nient’altro.
Due fenomeni che viene da accostare naturalmente se si osservano certe manovre che hanno permesso a Peter Sagan di restare in bicicletta là dove tanti altri corridori sarebbero caduti. Ricordate quel numero fenomenale alla Roubaix quando gli cadde davanti Cancellara? (riportiamo sotto l’articolo).
A momenti quella corsa venne ricordata più per quel numero che per la vittoria vittoria di Matthew Haymann che pure, dal punto di vista tecnico e atletico aveva parecchio da dire (Hayman era considerato un outsider, e vinse pure con una bicicletta super aerodinamica che certo non era il prototipo di bicicletta da Roubaix – si veda, anche qui, sotto per l’articolo).
Ecco, tornando a quell’articolo a due settimane di distanza il paragone tra i palmares dei due corridori, pure non voluta, inizia a farsi. Di questo passo Van Der Poel recupererà in fretta.
Ma siamo già andati oltre. Quando nel ciclismo si fanno i paragoni si mettono già dei confini a un corridore, lo si rinchiude dentro aspettative a dover dimostrare qualcosa come se ce lo dovesse. E un giovane promettente non ne merita.
Insomma, non resta che sederci in poltrona e goderci questo ciclismo che si sta prospettando per il futuro. Pista e Ciclocross ci stanno regalando campioni e questo deve far riflettere a chi svicola da discipline alternative. Che poi provare diverse specialità è pure divertente. Negli anni si è persa pure quella dicotomia culturale tra stradisti e biker. I praticanti, sempre più spesso, hanno entrambe le bici e se chiedete perché vi dicono che c’è più divertimento. Certo, ci vogliono il supporto giusto e la visibilità perché nasca un movimento forte.
Il ciclismo stesso si sta riscoprendo come spettacolo e non è solo perché uno come Van Der Poel “corre male” e poi vince lo stesso. Alla fine, anche qui, ritorniamo sulle parole di Sagan: “noi corriamo per far divertire la gente, se no che senso ha?”
Ecco, divertimento e passione sono la chiave di tutto.
Ieri, dopo l’Amstel Gold Race eravamo tutti d’accordo con lo spettacolo, bastava telefonare a un amico o leggere i social. C’è voglia di vedere altre corse più che mai, di andare a bordo strada ad applaudire. Perché corridori così non importa che maglia abbiano, così spettacolari attirano applausi da tutti.
Poi magari questi corridori facciano anche altre specialità, una volta conquistata la visibilità della strada ne faranno beneficiare a tutto il ciclismo. Quante Sei Giorni attiravano pubblico perché c’erano i campioni della strada. Lo stesso può accadere (e accade anche se non in Italia) ora. Lo stesso accadrà, c’è da scommetterci, col ciclocross di Van Der Poel e Van Aert anche se manterranno anche la metà delle promesse. Due corridori che, tagliato il traguardo, cadono a terra sfiniti per aver dato tutto e pure di più, sono già spettacolo.
E il ciclismo italiano in tutto questo avrà la sua da dire, scommettiamo?
Guido P. Rubino
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