Correva l’anno 1998: per celebrare i 25 anni del suo gruppo trasmissione di vertice Shimano realizza una versione in edizione limitata di questo gruppo a quei tempi già amatissimo dai corridori. Il tempo vola: di anni ne sono passati altri 25 e in questo 2023 il celebre “reparto” della Casa nipponica arriva al mezzo secolo.
Chissà se arriverà qualcosa di speciale per celebrare l’evento.
Intanto per festeggiare queste cinquanta candeline, diamo il via con questo articolo a una serie di contenuti speciali con i quali vogliamo nel nostro piccolo celebrare l’evento.
Tanto per cominciare, in questi cinquanta anni di storia il Dura-Ace ha conosciuto diverse versioni: della cronistoria di queste ci siamo occupati con tre uscite speciali pubblicate a inizio 2021, in occasione del centenario di Shimano (qui la puntata uno 1973-1983, qui la puntata due 1984-2003, qui la tre 2004-2017).
In quelle occasioni abbiamo passato in rassegna le caratteristiche principali delle 12 iterazioni (che nel frattempo sono diventate 13 dopo l’uscita del Dura-Ace di classe R9200), abbiamo esaminato le differenze le une con le altre e il feedback o il contributo che i corridori hanno dato per lo sviluppo di queste parti.
Con queste puntate speciali andremo oltre, andremo ancor più nel dettaglio tecnico dei componenti, andandoli a sviscerare attraverso rari cataloghi e foto dell’epoca, oppure esaminandoli direttamente da vicino, in quanto pezzi della collezione di chi scrive, che oltre alla famosa “controparte” italiana (ovviamente Campagnolo) considera anche Shimano come miniera incredibile di “chicche” meccaniche del passato e di soluzioni tecniche all’avanguardia, che in moltissimi casi poi hanno segnato la storia. Ma anche no.
Appunto, questa prima puntata fa perno su un raro catalogo Shimano del 1980, quando il Dura-Ace aveva già sette anni di vita, quando le parti siglate Dura-Ace erano già sinonimo di altissima qualità, ma anche quando la Casa di Osaka realizzò soluzioni in certi casi così all’avanguardia, che paradossalmente non furono capite fino in fondo dal mercato o dai corridori…
Nel catalogo anche pezzi “vecchi”
Quaranta anni fa la vita commerciale della componentistica “ciclo” era sicuramente più longeva rispetto a quella cui siamo abituati oggi; inoltre i componenti in catalogo non erano legati alle rigide logiche di gamma cui siamo abituati oggi: così, era normale che nel catalogo Shimano 1980 il gruppo Dura-Ace figurasse in doppia versione: scorrendo avanti le pagine si poteva infatti trovare anche la “vecchia” serie completa 7100, che aveva esordito tre stagioni prima, nel 1977, mentre qualche pagina prima la visibilità maggiore spettava alla nuovissima serie Dura-Ace EX, per la precisione presentata ufficialmente già due anni prima, nel 1978.
Più che qualcosa appartenente ad un solo gruppo, “EX” era una sigla che poi Shimano estese anche alla componentistica di classe inferiore come la serie 600.
EX concretizzava il grosso investimento di Shimano verso soluzioni tecnologiche innovative, oseremmo dire rivoluzionarie, soluzioni mai viste fin ad allora nella componentistica per bicicletta da corsa.
Si trattava realmente di una componentistica che, per riprendere una frase tratta dal libro che festeggia i cento anni di Shimano, “alcuni corridori addirittura ridicolizzavano come molto indietro rispetto ai prodotti Campagnolo. […] Era quindi una necessità urgente per Shimano creare le sue tecnologie e prodotti originali per soddisfare le esigenze e competere con i produttori rivali in questa nuova arena”.
Di che prodotti e tecnologia si trattava? Si trattava di una sfilza di novità.
Dyna-Drive: pedali e guarnitura diventano “sistema”
Seguendo l’ordine del catalogo internazionale Shimano del 1980 le prime pagine riassumono i concetti delle innovazioni della serie EX. Prima di tutto viene dato spazio alla tecnologia Dyna-Drive, applicata su quel “sistema” di componenti rappresentato dall’insieme pedale/guarnitura (che mai prima di allora era stato tecnicamente trattato in questo modo).
Per la prima volta i due componenti vengono considerati in maniera biomeccanicamente sinergica.
Agli albori della biomeccanica e non solo
È interessante notare che nella descrizione tecnica non c’è menzione del termine “biomeccanica”, semplicemente perché a quei tempi non si sapeva cosa fosse o più semplicemente perché questa branca della ricerca scientifica non era ancora stata definita e codificata. Si parla piuttosto di “design biotecnologico”, cui viene aggiunta la qualità di efficienza aerodinamica, anche questo concetto assolutamente agli albori rispetto all’epoca.
Alla base dei Dyna Drive sta una struttura disassata dell’asse del pedale rispetto ai pedali convenzionali, frutto dell’assunto per cui in questo modo il punto di spinta del piede andava a collimare meglio l’asse della pedivella.
Di conseguenza, dicevano i tecnici Shimano, la forza applicata dal ciclista sulla pedaliera veniva trasmessa senza perdite.
Non da ultimo – continuava Shimano – la posizione più bassa del pedale Dyna-Drive spostava il baricentro del ciclista più in basso, a tutto vantaggio della tenuta di strada soprattutto in curva e con un ulteriore guadagno in termini di migliore efficienza aerodinamica.
Non finisce qui, perché il design rastremato dell’interfaccia Dyna-Drive permetteva di risparmiare peso, inoltre la posizione del piede migliorava la fase di ripartenza o in genere le accelerazioni. E infine, oltre a ridurre la resistenza all’aria il particolare design di questa interfaccia consentiva di incrementare la solidità del vincolo pedale/guarnitura ma senza aumentare il peso.
Nei fatti la tecnologia Dyna-Drive non fu recepita come forse meritava dal mondo (super tradizionalistico) del ciclismo su strada, probabilmente perché troppo di rottura e sicuramente per niente funzionale in termini di eventuale compatibilità con altri componenti. La tecnologia Dyna-drive fu in effetti confermata sulla successiva serie Dura-Ace 7300, per poi scomparire per sempre con l’avvento della serie 7400, del 1984.
Direzione 6, una raggiatura di nuova concezione
I mozzi del Dura-Ace di serie 7200 di generazione AX presentavano un design delle flange mai visto, accuratamente indentate attraverso un paziente lavorato di “scarico” con tornio al CNC (ovvero un’altra lavorazione che nella industria ciclo dell’epoca era assoluta novità): la ragione non era certo l’alleggerimento oppure l’estetica, la ragione di quella inedita forma era funzionale al montaggio di raggi che inserivano la loro testa (una testa ovviamente curva perché all’epoca i raggi erano solo così) sempre sullo stesso lato (quello interno) della flangia in alluminio, diversamente dall’inserimento alternato “esterno/interno” che caratterizzava necessariamente l’architettura di raggiata proprio a causa della direzione obbligata generata dal design delle flange tradizionali.
Nella fattispecie di questa tecnologia che Shimano chiamò “Direzione 6” (in ragione della diversa ratio di montaggio che seguivano i raggi omologhi nell’inserimento sui fori del cerchio) i raggi diretti al cerchio verso opposte direzioni erano innestati sulla flangia in un ordine non più equidistante come sulle flange tradizionali, ma in coppia.
Questo consentiva di posizionare la testa sullo stesso lato, impedendo comunque che i due raggi andassero ad interferire tra di loro nella porzione iniziale; inoltre, la diversa architettura poneva il raggio in posizione ancor più tangente rispetto alla flangia rispetto al montaggio convenzionale, con ulteriore vantaggio nella robustezza della raggiata complessiva della ruota e non da ultimo con un vantaggio anche in termini di tempi di montaggio, visto che questa architettura consentiva all’installatore di assemblare un emisfero di raggiata per volta.
Ancora, i raggi diretti in senso opposto innestati sulla stessa coppia seguivano una direzione quasi parallela tra di loro, necessitavano della stessa forza di tiraggio e impedivano qualsiasi possibilità di distorsione che invece si poteva verificare nel classico montaggio “incrociato” degli emisferi di raggiata.
In sintesi, recitava Shimano nel suo catalogo 1980: “il montaggio Direzione 6 significa un aumento di rigidità laterale della ruota del 20 per cento rispetto alle ruote convenzionali“.
Infine un inciso dedicato ai patiti della catalogazione o ai collezionisti più pignoli e scrupolosi: la tecnologia Direzione 6 esordì con la seconda versione della componentistica di classe Dura-Ace 7200 EX: come spesso è accaduto nella logica di codificazione utilizzata dalla azienda giapponese, ogni serie del gruppo Dura-Ace ha spesso avuto varianti diverse ma all’interno della serie classificata con lo stesso numero: parlando di mozzi, ad esempio, i primi mozzi di serie 7200 furono gli FH-7250 a 5 velocità (o FH-7260 per le 6v), che furono poi aggiornati nel 1980 appunto con la esclusiva variante con tecnologia Direzione 6 di cui abbiamo parlato, e codificati con il seriale FH-7261 (ed erano solo “6v”).
A proposito in tutti i casi questi mozzi avevano già dalla serie precedente 7100 un sistema di ingaggio pignoni di tipo a “cassetta” e non filettato per ruota libera, ovvero uno standard che lo storico “big” italiano della componentistica adottò oltre dieci anni dopo. Ma di questa tecnologia parleremo nella prossima puntata.
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