18 feb 2020 – Se il Coronavirus è contenuto efficacemente in Occidente, altrettanto non si può dire degli effetti che questo potrebbe portare nell’industria ciclistica (e non solo: nel settore della tecnologia le preoccupazioni sono enormi). Quanto scriviamo, ovviamente, è al netto della preoccupazione umanitaria che seguiamo tutti con attenzione.
È noto che molte biciclette, parti e accessori presenti sul nostro mercato vengano dall’Oriente e dalla Cina in particolare. Il confinamento dovuto al contenimento del virus, le quarantene e le chiusure di molte fabbriche potrebbero – anzi sicuramente – avranno conseguenze anche per il mercato della bicicletta.
Dopo la notizia dello spostamento della fiera di Taipei, dovuto alla difficoltà di collegamenti, ma anche alla mancanza di materiali da parte di molti espositori, abbiamo fatto un giro di telefonate e approfittato anche dell’ultima fiera CosmoBike Show, che si è svolta nel fine settimana scorso a Verona, per avere un po’ il polso della situazione. Abbiamo fatto, quindi, un quadro della situazione che vi riportiamo di seguito.
Cosa si ferma
I problemi conseguenti alla situazione sanitaria cinese possono avere risvolti su più livelli. Alcune fabbriche in Cina sono chiuse per l’impossibilità di molti dipendenti di tornare al lavoro o perché lontani da casa (molti si erano allontanati in corrispondenza del capodanno cinese, che è stato il 25 gennaio) o per mancanza di trasporti. La stessa mancanza di trasporti sta mettendo in crisi alcune fabbriche che, pur continuando a produrre, non possono spedire i materiali (manca il collegamento che porti la merce sui container e quindi al di fuori dal Paese).
In arrivo, e per alcune fabbriche già in essere, il problema di approvvigionamento di materie prime. Tutte cause che portano a uno stesso risultato: blocco della produttività in molti casi.
Il blocco del mercato in questo senso porterà e sta portando a un problema sopratutto nella vasta produzione di ebike. Anche chi produce altrove i propri motori può trovarsi a non avere batterie a disposizione. Quindi si rischia di avere biciclette impossibili da immettere sul mercato. Molti componenti di e-bike, poi, vengono prodotti direttamente in Cina, telai compresi nella maggior parte dei casi del mercato di media gamma, ad esempio.
Qual è la situazione del mercato
Alcune aziende, anche in Occidente, sono già in sofferenza. Altre lo saranno nel giro di qualche mese. Molto probabilmente – vista anche l’impossibilità del momento di fare previsioni di tempi di risoluzione del problema – nodi importanti potrebbero venire al pettine per quanto riguarda le gamme del 2021.
I grandi marchi che producono i Oriente hanno già in magazzino tutti o gran parte dei materiali per rifornire il mercato per l’anno in corso. Più difficile la situazione per i marchi via via più piccoli che lavorano con ritmi non di ampio respiro. Il rischio di rimanere soffocati, in questo senso, è concreto. E c’è già chi ha i magazzini vuoti in attesa di container neanche partiti. Altri stanno esaurendo le riserve che hanno già in casa e sanno che non verranno rimpiazzate. Si parla di tempi che vanno dai due, ai quattro, fino a un massimo di sei mesi per andare in difficoltà importante se la situazione non si sblocca prima.
Va detto pure che diverse aziende hanno dichiarato di non prevedere grandi problemi, al momento, perché hanno le fabbriche in zone meno coinvolte dal problema.
Problema 2021
Un problema importante è già in corso, per alcuni, per il 2021. In questo periodo, infatti, vengono definite le nuove gamme di prodotto, si preparano i prototipi, si fanno i test di produzione e così via. Lo stesso personale occidentale che lavora nel controllo qualità (molte aziende hanno proprio personale in loco per verificare personalmente le direttive di progettazione e realizzazione) è impossibilitato a raggiungere le fabbriche. Questa situazione, quanto meno, comporterà dei problemi nelle tempistiche che non possono essere accorciate in tutta quella filiera che va dal primo progetto alla definizione ultima del prodotto e poi alla messa in produzione (eh sì, non si tratta solo di acquistare qualcosa di già pronto come molti, superficialmente, sono portati a credere da chi svaluta la lavorazione delocalizzata).
Problemi indiretti
Verrebbe da pensare che il problema cinese possa essere, invece, un’opportunità per chi produce altrove. In realtà non è esattamente così visto che la catena produttiva è ampia e potrebbero mancare anche le materie prime. Gli stessi produttori di componentistica che non hanno a che fare con le fabbriche cinesi, potrebbero trovarsi in difficoltà per non avere ordini da chi non ha telai a disposizione. E così via.
Alternative
In un mercato che non si può fermare c’è già chi guarda avanti e se la Cina frena occorre accelerare altrove. Si parla di Vietnam, Sri Lanka, ma anche paesi europei come il Portogallo. Sì, ci sono in alcuni di questi Paesi fabbriche già pronte, ma, al più, possono fare da ammortizzatore per alcune situazioni, spostare linee produttive importanti è uno sforzo che richiede comunque del tempo difficile da quantificare. Per non parlare, poi, del personale qualificato che va formato visto che certe lavorazioni non sono affatto semplici, ma complesse e laboriose e richiedono un tempo di apprendimento non breve (questo risponde, indirettamente, anche a chi pensa che fare un telaio in carbonio – ad esempio – sia solo questione di chiudere uno stampo e avere materie prime a disposizione) di cui è difficile anche solo valutare i costi.
Il governo cinese, intanto, sta già dando aiuto all’economia del Paese per parare, almeno in parte, le difficoltà delle fabbriche e non farle chiudere, ma la mancanza di produzione arriverà, man mano fino a noi.
Insieme all’ultimo container ancora in mare.
Guido P. Rubino