1 ott 2018 – Alla fine del Mondiale di Innsbruck erano stanchi pure gli spettatori. Lungo la strada o davanti alla tv.
È che il Mondiale, a differenza di tutte le altre corse, si vive diversamente. Anche più di una Roubaix o di un Fiandre o di certe tappe del Giro e del Tour (e quest’anno ne abbiamo avute di belle). Un Mondiale finisce per prendere di più anche se è un circuito insulso come quello di Doha, figuriamoci una faticata bestiale, per i corridori, come quello di Innsbruck. C’è la maglia nazionale.
Li abbiamo spinti tutti con lo sguardo su quella fatica a nove chilometri dall’arrivo e 250 e più nelle gambe e tutt’altro che piatti.
Volevamo una nuova Sallanches, con Hinault iridato? No, altri tempi, un altro ciclismo, anche se la selezione c’è stata e alla fine ha tirato fuori dal mazzo la carta più importante del giorno dal mazzo iridato.
Che volete dire a uno di 38 anni che va forte tutta la stagione?
Il sugello di un anno speciale diventa la ciliegina sulla torta di una carriera formidabile e non sempre facile. Una seconda giovinezza o il passo d’addio?
Lo deciderà Valverde, dal tetto del mondo e forse sarebbe uno spettacolo. O proverà a bissare quest’anno pazzesco?
Viene da dire che Valverde non è Sagan. Ma giusto perché ha dieci anni di più.
Intanto noi ci lecchiamo le ferite annunciate.
Cassani lo sapeva e aveva messo le mani avanti. «Dovranno farla altri la corsa» aveva detto. Poi, però, nel finale senza radioline (al Mondiale funziona così e non si discute e nemmeno ci si lamenta) gli Azzurri erano lì a tirare per chiudere sulla fuga iniziata la mattina ma, soprattutto, per scortare i capitani che sembravano promettere bene. Caruso a scattare, Brambilla a fare il suo lavoro, tattica perfetta e forse già vista. Tattica degna di un capitano con la cartuccia buona.
Ora possiamo recriminare su Nibali che si è spento sul più bello ed è arrivato nella seconda pagina dell’ordine di arrivo? No, probabilmente hanno fatto così per scortare Moscon, capitano unico deciso in corsa quando Nibali ha detto che le sue gambe oggi non erano quelle più belle. Pozzovivo era lì, c’era quasi, poi non c’è stato più.
Riavvolgendo il nastro iridato a Moscon è mancato tanto così per restare appeso a Valverde nel finale. Avesse sprecato meno prima, fosse stato meno generoso a non chiudere lui in prima persona qualche scatto, forse si sarebbe trovato con una corda più resistente per restare attaccato ai migliori. Invece si è ritrovato un filo sottile, spezzatosi sul più bello. E nessuno ad urlargli nelle orecchie.
Alla fine la tattica migliore è stata della Spagna. Sempre coperti e Valverde a fare solo lo scatto buono, quello per tenere il canadese incredibile, Woods, con una gamba che oggi non ci credeva nemmeno lui.
Certo che pure ad arrivare in volata con Valverde come vuoi che finisca? L’ha iniziata in testa e finita davanti. E allora pensi che doveva andare così ed è pure giusto. Rimarcato dal boato della folla alla vittoria dello spagnolo. Nello stadio naturale del circuito iridato hanno alzato le braccia al cielo non solo gli spagnoli. Nel ciclismo succede quando vince un campione.
L’Italia resta a bocca asciutta un’altra volta. A salvare la panchina di Cassani c’è la maglia europea di Trentin. Basterà? Fossimo nel calcio probabilmente no. Ma se volete criticare il ct di sicuro quella di Innsbruck è la corsa meno indicata.
E tutto sommato l’Italia è stata molto più forte di altre nazioni anche più titolate (un velo pietoso sulla Colombia, mai in corsa nel mondiale per gli scalatori). Bene anche la Francia, nonostante abbia pagato la sorpresa negativa di Alaphilippe, ha trovato un Bardet capace di arrivare fino in cima senza staccarsi. Battuto solo in volata. Gran Bretagna non pervenuta nel finale.
Già, a conti fatti, a sera, viene da dire che non poteva che andare così. Poi torna in mente quell’idea. Ma come? Lasciata andare la fuga il gruppo cos’ha fatto a parte risparmiare le forze il più possibile? Chissà, forse osando e giocandosi il tutto per tutto… ma no, figurati, eravamo stanchi noi solo a vederla la corsa. E allora non è solo questione di cercare un altro Hinault. È diverso proprio questo ciclismo, radioline o no.
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Guido P. Rubino